Bruno Caccia fu assassinato il 26 giugno 1983 mentre portava a passeggio il proprio cane. Venne affiancato da una macchina con due uomini a bordo che spararono numerosi colpi di arma da fuoco. Sono passati 41 anni da quella notte, e la memoria collettiva ha quasi perso le tracce di quel magistrato torinese che negli anni di piombo era stato protagonista di tanti processi contro le Brigate Rosse. Difficile che qualcuno ne abbia un ricordo e ne restituisca i meriti. Sembra una di quelle storie che la Repubblica ha dimenticato e sepolto sotto migliaia di pagine di atti di processuali. Atti che non hanno mai spiegato il perchĆ© di quello che ĆØ accaduto. Nato a Cuneo il 16 novembre del 1917, Bruno Caccia fu nominato procuratore capo della Repubblica nel 1980. Secondo alcuni ĆØ morto perchĆ© era un uomo integerrimo, incorruttibile. Per il suo amico di sempre, il giudice Mauro Vaudano, fu ammazzato per quello che aveva fatto, per le inchieste che seguiva. Per altri ha invece semplicemente pagato per uno sgarbo fatto alla persona sbagliata.
Depistaggi e lotta al terrorismo
A suo figlio, poche ore prima dell’assassinio, confidĆ²: Ā«Sta per succedere qualcosa di grossoĀ». Nessuno ha potuto capire a cosa si riferisse. Una cosa ĆØ certa, giĆ pochi secondi dopo l’esecuzione sono cominciati i depistaggi. Uomo di destra, discuteva spesso con Gian Carlo Caselli e difendeva il ruolo del magistrato come presidio costituzionale super partes. Insieme, si puĆ² ben dire, hanno avuto il merito storico di portare il primo grande colpo dello Stato al terrorismo rosso.
Sin da subito le indagini degli inquirenti presero la pista delle Brigate Rosse: appena mezzāora dopo lāagguato, un uomo chiamĆ² il centralino del quotidiano La Stampa: Ā«Non capisco, stavo dormendo, ĆØ squillato il telefono. Un tale mi ha detto di avvertirvi subito e di dirvi che loro, le Brigate Rosse, hanno ucciso il dott. Bruno CacciaĀ».
La ricerca di un movente credibile
Tuttavia quindici giorni dopo l’omicidio, l’11 luglio 1983, le Brigate Rosse negarono ufficialmente di essere autrici del delitto: Ā«Con la morte di Bruno Caccia noi non c’entriamo – dichiarĆ² il brigatista Francesco Piccioni leggendo un comunicato nell’aula del carcere Le Vallette -. Questo ĆØ un omicidio a cui purtroppo siamo estraneiĀ». In effetti cosƬ ĆØ stato. Se un mandante credibile non ĆØ mai stato individuato, le sentenze dei tribunali non hanno trovato neppure un movente vagamente credibile.
CāĆØ perĆ² il nome di chi ha sparato, Rocco Schirripa. Lo avrebbe fatto su indicazione di Domenico Belfiore, esponente della criminalitĆ calabrese che in quei tempi aveva giĆ messo radici profonde nel Nord Italia . Erano gli anni in cui dilagavano i sequestri di persona. In giro c’erano un sacco di soldi da ripulire. La parola āNdrangheta non era ancora cosƬ conosciuta e si puĆ² dire che proprio grazie al processo Caccia conquistĆ² per la prima volta i titoli di quotidiani e telegiornali italiani.
Ma secondo la procura generale di Milano non ci sono prove per sostenere in un futuribile giudizio eventuali responsabilitĆ penali per lāomicidio del procuratore Caccia in capo a Francesco DāOnofrio e Tommaso De Pace 81 anni. Accolta, quindi, la richiesta dei magistrati e disposta l’archiviazione definitiva per il boss calabrese giĆ condannato in Minotauro e personaggio di primo piano del panorama criminale torinese. D’Onofrio, che si ĆØ sempre proclamato estraneo a qualsiasi vicenda relativa al delitto del procuratore Caccia.
La famiglia Caccia aveva deciso di proporre opposizione a questa istanza tramite il legale Fabio Repici. Di D’Onofrio, giĆ condannato anche per armi, residente a Moncalieri, aveva parlato il collaboratore di giustizia Domenico Agresta che giĆ nei primi verbali resi alla Dda di Torino nel novembre 2016 raccontando di aver appreso (in carcere e da fonti di alto rango criminale, tra cui il padre Saverio Agresta) che a sparare al procuratore fossero stati Rocco Schirripa (giĆ condannato allāergastolo con pronuncia definitiva) e proprio DāOnofrio. Ma nulla dalle indagini di Milano sarebbe emerso per avvalorare questa tesi.
Restano i misteri su quel delitto. E non pochi. Fino ad oggi del commando composto da almeno 5/6 persone che hanno sparato a Caccia sono state individuate e condannate soltanto due persone. Oltre a Schirripa, si ĆØ accertata la colpevolezza di Domenico Belfiore che sta espiando la pena all’ergastolo in regime di domiciliari: il differimento pena ĆØ stato cosƬ deciso ormai da 8 anni per gravi motivi di salute.