Poche, pochissime parole, tanto che perfino il “crepi” pronunciato prima di salire in macchina davanti al Quirinale in risposta all’in bocca al lupo dei fotografi ha fatto notizia. La sobrietà del premier Mario Draghi è nota e, almeno nel giorno dell’esordio del governo, sembra aver contagiato i suoi ministri che hanno lasciato poche frasi di circostanza ai giornalisti dopo il giuramento.
Il silenzio che ha preceduto la formazione della lista, riservato non solo ai giornalisti, ma anche a chi ha rivelato di aver saputo di farne parte solo a cose praticamente fatte, pare aver creato qualche malumore tra le forze politiche, ma è il segno di un cambio di passo nelle strategie comunicative che ha già trovato estimatori tra chi soffre della bulimia comunicativa della politica e raccolto critiche da chi teme che i cittadini avranno meno input informativi diretti dal vertice politico.
La mancata discesa di Draghi nell’agone del mondo social è quasi un unicum nel panorama dei grandi leader mondiali, alcuni dei quali hanno costruito la loro fortuna proprio con le campagne di Twitter e Facebook. Il caso di Donald Trump, con le polemiche poi legate alla sua esclusione, non è certo isolato. Tutti i premier europei sono attivi sulle piattaforme, tranne Angela Merkel che fa della sobrietà uno dei caratteri distintivi proprio come l’ex governatore della Bce.
A marcare una differenza con il passato l’assenza, almeno per il momento, di un portavoce, figura che ha avuto un ruolo di peso negli ultimi governi, da Paolo Bonaiuti a Filippo Sensi, fino a Rocco Casalino, che ha intitolato la sua autobiografia proprio ‘Il portavoce’, dando il senso della sua centralità nella creazione dell’immagine pubblica di Giuseppe Conte. E’ prevedibile che Draghi voglia dare a tutta la squadra di governo un’immagine di sobrietà, ma già questo sarà un compito non semplice, vista l’ampia presenza di esponenti di forze politiche che sono nate, o comunque cresciute, nel mondo dei social. Non dovrebbe faticare molto con il team di tecnici, per la quasi totalità privi di profili: Marta Cartabia, Luciana Lamorgese, Daniele Franco, Patrizio Bianchi, Cristina Messa, Enrico Giovannini, Roberto Cingolani e Roberto Garofoli non compaiono nè su Twitter nè su Facebook. Unico a far eccezione è il ministro dell’Innovazione Tecnologica, Vittorio Colao, che ha una presenza sporadica sulle piattaforme: su Twitter con post in inglese su temi di sua competenza e su Facebook con foto prevalentemente in bici, la sua passione. Lo scenario cambia spostandosi sul lato politico della compagine governativa, dove quasi tutti gli esponenti sono presenti sulle piattaforme, di persona o attraverso lo staff.
Inutile dire che i Cinque Stelle fanno della comunicazione sui social uno dei loro cavalli di battaglia: così Luigi Di Maio che conta oltre 700 mila follower su Twitter dove, anche in virtù del suo ruolo nel Movimento, alterna informazioni istituzionali a prese di posizione sulle vicende politiche. Lo stesso fanno Federico D’Incà, molto presente su Twitter, e Fabiana Dadone che su Facebook posta anche immagini della sua vita pubblica e in qualche caso privata. Anche la Lega ha costruito parte della sua forza con le campagne social. Fanno però eccezione proprio Giancarlo Giorgetti, non a caso considerato il più ‘tecnico’ dei ministri leghisti, ed Erika Stefani, che non hanno profili nè su Twitter, nè su Facebook, a differenza di Massimo Garavaglia.
Tutti presenti sui social i ministri Pd Andrea Orlando, Dario Franceschini e Lorenzo Guerini, così come i colleghi di Forza Italia. A partire da Renato Brunetta, particolarmente attivo con post, retweet, video di interventi in tv e foto, ma anche Maria Stella Gelmini e Mara Carfagna, che conta oltre 200 mila follower. Già attivi come ministri del passato governo anche Elena Bonetti di Italia Viva e Roberto Speranza, che ha spesso utilizzato i suoi profili per invitare alla prudenza gli italiani nel corso della pandemia.
Non solo Draghi: la sobrietà del premier e dei tecnici, più attivi i politici
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