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sabato, 21 Dicembre, 2024
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Addio a Ferlinghetti, l’ultimo libro “Little Boy” era stato tradotto in Italia dalla reggina Giada Diano

Un secolo più uno. E la grande gioia di aver visto, prima di lasciare questo mondo, Donald Trump che sloggia dalla Casa Bianca. Aveva 101 anni il leggendario poeta Lawrence Ferlinghetti, che si è spento qualche giorno fa nella sua casa di San Francisco per un enfisema polmonare. La notizia è stata diffusa dalla famiglia soltanto ieri suscitando un vibrante cordoglio nell’ambiente letterario internazionale. Ferlinghetti, fondatore dell’anticonformista libreria City Lights, che battezzò la Beat Generation Poetry pubblicando nel 1956 lo scandaloso romanzo “L’urlo” di Allen Ginsberg, fu padre e nume tutelare della compagnia di poeti censuratissimi per la loro inclinazione verso le droghe e il sesso libero. Quel libro, sotto accusa per contenuti osceni, lo portò in carcere come editore fuorilegge. Un rischio calcolato, in fondo, per quella comunità letteraria psichedelica e provocatoria, di cui facevano parte Ginsberg ma anche William Burroughs, Jack Kerouac, John Giorno, Charles Bukowski, Ezra Pound e il mezzosangue calabrese Gregory Corso. In particolare di lui, litigioso genio poetico, nell’autobiografia “Little Boy”, data alle stampe dal barbuto Lawrence a cent’anni suonati, il maestro ricordava il sense of humour – in realtà difficile da scrutare per i comuni mortali, che nei versi di Corso leggevano morte e autodistruzione. Ma era vero, era assolutamente così. La controcultura americana non ammette regole o coerenze obbligate. La stessa opera di commiato di Ferlinghetti è un po’ romanzo e un po’ memoriale, senza lasciarsi ingabbiare nelle etichette di genere. Un compendio di arte, satira, politica e esistenzialismo che riassume la personalità eclettica e debordante del poeta newyorkese.
In Italia “Little Boy” è stato pubblicato da Clichy e tradotto dalla reggina Giada Diano, collaboratrice storica di Ferlinghetti. Il loro sodalizio era iniziato nel 2008 con “Io sono come Omero” (Feltrinelli), biografia emozionale del poeta: da allora i due sono stati inseparabili, nel lavoro e in una straordinaria amicizia ai confini con l’appartenenza familiare. Diano, insieme a un’altra studiosa reggina, Elisa Polimeni, nel 2019 aveva realizzato un docufilm, “Lawrence, a Lifetime in Poetry”, presentato a UmbriaLibri alla presenza del poeta, e una grande mostra d’arte (Ferlinghetti era pure pittore), arrivata a Napoli e Reggio per celebrare il centesimo compleanno, l’anno scorso. Con Giada Diano, ideatrice dell’associazione culturale “Angoli corsari”, Ferlinghetti aveva visitato la città dello Stretto, entusiasta del mare e delle suggestioni antiche  – l’avanzare dell’età e le precarie condizioni di salute gli avevano impedito di tornare, ma il poeta era stato felice della traduzione di “Little Boy” nella sua Italia (il padre era un emigrante bresciano e lui sentiva in modo forte l’imprinting delle origini). Un libro non facile da restituire in lingua italiana per il suo ritmo fluviale e la narrazione visionaria – quasi una lunga allucinazione di coscienza che nel grande ciclo del tempo, ci riporta ad Omero. L’Ulisse di Joyce e il cane di Ferlinghetti, che porta il nome dell’immortale vate cieco e come lui sempre alla ricerca delle sue radici. Lawrence instancabile e sognatore, ascoltava il respiro caotico di vite e luoghi ancestrali. “Due sirene che si cantano l’un l’altra/segnano il luogo dove una storia è finita”. 
Isabella Marchiolo

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