Dopo la fine della travagliata vicenda che ha portato al ri-accreditamento del S.Anna Hospital di Catanzaro è il momento delle riflessioni e dei giudizi. Caustici quelli di uno dei professionisti più esposti, il dott. Alessandro Testa, cardiochirurgo, che in questi mesi ci ha messo la faccia, la penna e la presenza. Gli abbiamo chiesto le sensazioni dopo la estenuante battaglia.
“Due sentimenti prevalgono, nella quiete che segue la tempesta di settimane intense: sollievo e rabbia.
Il sollievo di aver concluso positivamente il percorso di guerra iniziato il 24 dicembre 2020 vince fin anche sulla gioia, sul desiderio di festeggiare che si è esaurito in un simbolico brindisi nel cortile della cittadella, più per prendere calore dopo ore trascorse sotto un vento sferzante che per celebrare la fine. Troppe le settimane trascorse tra lacrime e ansia, troppo pesante lo sforzo di restare uniti e stabili mentre il mondo intorno sembrava girare al contrario.
Nessuno ha la forza di far festa, meglio godersi l’affanno del fine corsa, il sudore, i muscoli legnosi e lasciarsi andare a una moderata soddisfazione che più di altri sentimenti si attaglia alla compagine di lavoratori, professionisti e dirigenti che rendono il S. Anna quello che tutti conoscono. Il sollievo di avere davanti a noi la ripresa, il lavoro, la dignità, le cose di ogni giorno che per giorni ci sono state negate; fatta la tara della pandemia, vogliamo tornare a indossare le divise, a praticare la medicina, a prendere il caffè al distributore, a cercare un parcheggio, a ordinare un panino.
Vogliamo tornare all’abitudine che ci rende vivi, alle coperte che il Linus nascosto in ciascuno di noi si porta dietro per aiutarsi. Vogliamo avvertire l’adrenalina che sale mentre concentriamo sulle persone che ne hanno bisogno esperienza, sapienza, umanità. Vogliamo guardare il mondo dalle finestre della clinica, sentire i clacson del perenne ingorgo di Ponte Piccolo, vogliamo lamentarci perché pioverà proprio quando usciremo o correre fuori perché ci sono figli da portare ovunque, spese da fare, persone da incontrare, spiagge da affollare. Vogliamo tornare a vivere nell’unico posto che, oltre a casa, ci vede realizzati e che per questo è anch’esso un po’ casa nostra.
Nessuna festa, anche perché dentro bolle ancora la rabbia per il modo in cui tutto questo è accaduto. Rabbia verso chi, deputato a dirigere istituzioni sanitarie e cioè obbligato a servire il bene della comunità, ha tenuto nei nostri confronti atteggiamenti vessatori e ambigui quando non platealmente doppi e menzogneri.
Boiardi superpagati e senza obbligo di risultato che hanno indossato via via la toga da giudice e la fascia da giurato, il fucile del plotone di esecuzione e l’elmo da crociato dimenticando che esiste, in uno stato di diritto come il nostro, una magistratura indipendente che indipendentemente ha indagato e che altrettanto indipendentemente giudicherà i reati. Il livore che trasuda dalla carta su cui le delibere sono state scritte vorrebbe essere minaccia e avvertimento ma riesce solo a rivelarsi frustrazione. Proviamo rabbia verso chi ha sperato che l’occasione fosse favorevole per comprare una realtà economicamente florida al costo di un piatto di lenticchie.
Nella città che vive di intrecci tra massoneria, criminalità organizzata, professioni e politica si muovono figure vestite di abiti raffinati, a volte perfino camici bianchi, che portano dentro il verme della trattativa sottobanco, del malaffare, dell’ipocrita provincialismo. Ombre lunghe che nei giorni si sono allungate sul S. Anna senza però riuscire a portarselo via. Rabbia verso i nemici interni, ebbene sì ne avevamo, che hanno puntato tutto sul nostro fallimento, forse anch’essi parte delle ombre di cui sopra.
Rabbia verso chi fa il nostro stesso mestiere e dovrebbe pertanto conoscere quanto prezioso sia ciò che facciamo e che invece ha preso posto sulla tribuna millantando eccellenze inesistenti, invocando alibi fasulli a difesa dell’incapacità di essere motore di una sanità di rilievo; i nostri colleghi sono stati bravissimi a unirsi per occupare le pagine dei quotidiani e chiedere una primazia a prescindere. Ora torniamo a sederci al loro stesso tavolo, con la stessa dignità e con la forza di numeri e risultati che quasi nessuno in Italia può vantare: diciamo pure che torniamo a sederci a capo tavola.
La politica è stata talmente assente che rivolgere ad essa la rabbia sarebbe come sparare sulla croce rossa. Il sindaco che è allo stesso tempo politico autorevole e massima autorità sanitaria, il consiglio comunale, la giunta regionale e la deputazione calabrese che in queste ore si affretta a intestarsi il merito del buon esito sono l’esempio del nulla in cui la vita dei Calabresi si snoda: bugie, parole e promesse volate nel vento di Catanzaro. Non fosse stato per Francesco Pitaro e Nunzio Belcaro, consigliere regionale e consigliere comunale che hanno preso con noi il freddo e il vento in più di un’occasione, della politica avremmo saputo solo per i proclami social.
Guardiamo avanti, c’è molto da fare: la macchina del S. Anna necessita di liquidità e sarà compito del CdA provvedere. Ci aspettano giorni di preparazione, controlli, manutenzione, prima di poter ricoverare il primo dei tantissimi pazienti che aspettano di essere curati: molti hanno preferito rischiare piuttosto che farsi curare altrove, altri si sono sobbarcati spese e fatica del viaggio per farsi operare dalle uniche mani in cui ripongono fiducia. I pazienti sono stati la nostra curva sud, i tifosi più sfegatati, a volte eccessivi ma i loro cuori variamente rammendati hanno battuto coi nostri e questo è qualcosa che nessun commissario prefettizio può portarci via.
Guardiamo avanti, ma la ferita resta ed è un bene che rimanga: da questa triste vicenda dobbiamo imparare che nulla è scontato, che anche facendo con coscienza e profitto il proprio dovere capita di doversi trovare in trincea. L’umanità è varia, ci sono i giusti e ci sono gli avvoltoi: per adesso possono solo volteggiare in aria perché le uniche carogne sono proprio loro.”
Alessandro Testa – cardiochirurgo del S.Anna Hospital di Catanzaro
Vicenda SAH: “Niente feste, solo rabbia e voglia di curare i pazienti”
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