Se n’è andato fluendo placidamente dalla vita alla morte, in un’incoscienza indotta che il male gli ha elargito quasi in risarcimento del dolore. La cura di Franco Battiato nel suo distacco dal mondo è stato l’orizzonte siciliano della sua villa a Milo, il mare e l’Etna che però stavolta non hanno potuto guarirlo da tutte le malattie come il maestro cantava in uno dei suoi brani più celebri e belli.
Aveva 76 anni e per almeno due generazioni lascia un vuoto, musicale e affettivo. Geniale, ieratico, mistico. Sciamano errante, esploratore di suoni e luoghi. Un ossimoro artistico quasi unico, quello di una spiritualità che si fondeva con l’humus sanguigno di un uomo del Sud, profondamente intriso della cultura e delle evocazioni assorbite dal territorio. Battiato apparteneva alla sua Sicilia ma ha avuto un legame artistico importante con lo Stretto e la Calabria. Mediterraneo, una faccia, una razza. Si è esibito a Reggio, al castello di Roccella jonica, nella cornice industriale e avveniristica del porto Gioia Tauro.
Nel 2000 fu il primo artista a suonare in piazza a Cosenza per festeggiare il capodanno – roba che si vedeva solo in tv da Milano e Roma, una novità per il Sud voluta dall’allora sindaco Giacomo Mancini, un ingresso nel nuovo millennio che con quella musica ipnotica faceva sognare chissà quale cambiamento epocale. A quelle latitudini Battiato avrebbe poi studiato Bernardino ispirandosi a lui per l’opera “Telesio”, scritta insieme all’inseparabile Manlio Sgalambro, autore del libretto: due atti e un finale con inserti di danza per celebrare nel 2011 il cinquecentenario del filosofo cosentino, rappresentati nel teatro Rendano con un’originale modalità che vedeva in scena soltanto gli ologrammi e l’unica presenza fisica del cantautore e l’orchestra. Tra gli attori c’era il regista Antonello Antonante del teatro dell’Acquario di Cosenza, che stanotte ha avuto una premonizione. A raccontarlo in un post su Facebook è la moglie Dora Ricca, anche lei attrice e regista: “Alle 3 Antonello si sveglia esce fuori dalla porta di casa e chiama Franco Battiato, ripetutamente come se avessero un appuntamento e non riuscisse a trovarlo. Gli ho detto che aveva chiamato per disdire e tranquillo è tornato a dormire: sono entrambi in un centro di gravità permanente. Ciao Franco, Antonello ti saluta”.
Pochi minuti dopo l’annuncio della scomparsa, il web si popola di messaggi di cordoglio. Dall’ex premier Giuseppe Conte a Samuele Bersani, che pubblica un talismano: “Non porto orologi al polso ma la musicassetta di Patriots, comprata nel 1980 con i soldi di una paghetta, è sempre con me”.
Ha insegnato, ha disseminato segni e pensieri. Fiori bianchi e correnti gravitazionali. Per Battiato, nonostante gli inevitabili fallimenti, l’umanità è fatta di persone speciali e l’anima non invecchia mai. Le sue canzoni, autentiche poesie, parlavano una lingua astrusa, giocosa e ardita come quella dei bambini, che molto hanno in comune con i filosofi – dispiace per quelli come la scrittrice Michela Murgia, che trovandole criptiche le liquidano come “minchiate”.
Chi lo ha conosciuto ne è stato amico. Giancarlo Cauteruccio affida alle suggestioni del teatro il suo ricordo: “È un dolore incolmabile la perdita del mio amico Franco Battiato. Ho avuto la fortuna di condividere con lui importanti momenti di vita, di conoscenza, di gioia. Insieme abbiamo messo in scena la sua opera Gilgamesh al Teatro dell’Opera di Roma in quegli scenari laser dove il protagonista compiva il viaggio verso l’eternità. Adesso rivedo il caro Franco muoversi in quella luce su un tappeto volante, verso il suo centro di gravità permanente. Un dolce sorriso, Maestro”.
E Loredana Bertè nel dirgli addio ha un racconto sopra le righe, quell’incontro su un volo per Mosca quando, sentendosi fissata con un po’ troppa ammirazione, stupì Battiato con una delle sue provocazioni, scoprendo il seno davanti al collega e tutti gli altri passeggeri. Lui, senza scomporsi, aveva commentato: “Loredana, ti dico la verità, sono bellissime”.
La sortita in politica lo espose nel 2013 a una feroce querelle. Ospite di un convegno a Bruxelles nel ruolo di assessore al turismo della Regione Sicilia, aveva paragonato il parlamento a un bordello popolato di “troie”. Parole accolte da un’ondata di riprovazione, ma paradossalmente l’osservazione di Battiato era quanto di più lontano dal sessismo: semmai l’unica volta in cui quel termine, nella sua accezione letterale, veniva usato per appellare maschi e femmine, indegni venduti senza distinzioni di genere. Laura Boldrini ne fece un caso di lesa dignità delle Camere, ma l’errore è basilare – per gli eletti dal popolo il rispetto non è diritto naturale mentre l’etica è dovere.
La sua malattia, un lungo declino iniziato nel 2018, era avvolta da un’aura di mistero (una volta lo avevano dato per morto nella più classica delle bufale). Si diceva fosse Alzheimer ma il maestro ha preteso riserbo: non avrebbe accettato di diventare un invalido da commiserare.
Dal rock alternativo al pop, dal sufismo alla meditazione e la musica classica – un talento così poliedrico è stato solo di Leonardo, di Galileo, delle menti eccelse. Battiato era un intellettuale avido di sapere, un precursore dei tempi che interrogava il passato per comprendere la società in cui viveva. Le astruse creature attorno al centro di gravità permanente – bonzi, contrabbandieri macedoni, gesuiti euclidei, – suggerivano la spinta verso un’ideale armonia del cosmo. Dove l’uomo deve coesistere con la natura, non sopraffarla. Visionario eppure capace di precise staffilate di satira. In un monologo poetico aveva definito il Ponte sullo Stretto “uno spazzolino da denti sbattuto sulle corde di un violino”. Immaginando di trovarsi nel tempo in cui “un’invenzione ridicola in partenza diventa irresistibilmente comica quando la definiscono avanguardia”. C’è ancora bisogno che tu ci venga a cercare, maestro figlio delle stelle.
Isabella Marchiolo