ll tribunale di Lamezia Terme, presieduto dal giudice Luana Loscanna, ha emesso verdetto degli ultimi tre imputati rimasti in attesa di giudizio, nell’ambito dell’operazione “lex Genucia” del novembre del 2011: si tratta di Bruno Cimino (dipendente dell’Asp) Teresa Ferrise e Giuseppe De Fazio.
Nello specifico a Bruno Cimino 3 anni e otto mesi di reclusione e interdizione dai pubblici uffici per la durata di 5 anni, mentre per Giuseppe De Fazio e Teresa Ferrise 2 anni di reclusione. Per la donna il tribunale ha deciso per la sospensione della pena.
Tutti imputati sono accusati di usura aggravata ed il primo anche per estorsione.
L’accusa in aula è stata sostenuta dal Pm Marica Brucci, la quale aveva chiesto condanne maggiori (sei anni e quattro mesi di reclusione per Cimino e De Fazio, 5 anni, 4 mesi per Ferrise). Il collegio della difesa è stato costituito dagli avvocati Nicola Veneziano e Gabriele Ruffino per Bruno Cimino, Veneziano e Larussa per De Fazio e Ferrise. La parte offesa, invece, non costituitasi parte civile, è stata assistita dagli avvocati Vincenzo Barone del foro di Nola e Alessandro Del Piano del foro di Napoli.
Le indagini avviate dalla Guardia di Finanza dopo aver appreso che il commerciante vittima dell’usura era andato via dalla Calabria per timore di ritorsioni da parte dei soggetti poi arrestati, con i quali aveva contratto debiti, i quali a fronte delle sue inadempienze avevano iniziato ad esercitare minacce; solo dopo una paziente “opera di convincimento”, fu la moglie del commerciante ad iniziare a confidare alla guardia di finanza i motivi che avevano portato il suo coniuge ad allontanarsi dalla città.
Il Nucleo mobile della guardia di finanza di Lamezia Terme aveva proceduto quindi alla cattura di 10 presunti usurai, ritenuti responsabili a vario titolo di usura aggravata, estorsione ed esercizio abusivo del credito, alcuni dei quali affiliati a cosche della ‘ndrangheta lametina.
Cinque di loro, Francesco Pullia, Adriano Sesto, Ferdinando Greco, Francesco Greco, Fabio Zubba, chiesero di essere giudicati con rito abbreviato, all’esito del quale, il 31 gennaio 2013 furono tutti condannati e subirono la confisca dei beni. Bruno Gagliardi patteggiò la pena. Tutte le condanne e le confische dei beni sono state confermate fino in Cassazione.