È finita al Tar la storia dei 497 medici cubani che il presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto ha deciso di assumere a tempo determinato, dicendo che in pratica che medici locali non hanno voglia di lavorare. I medici locali, appunto, ribattono che è la Regione che non offre loro le condizioni, ma questo è solo un aspetto della polemica. Un altro è che Occhiuto è di Forza Italia, e fa un po’ effetto vedere un partito che da una parte ha fatto storicamente campagne elettorale sul pericolo comunista e poi ricorre invece ai servigi di un regime comunista, facendone pure gli elogi.
Sono appena usciti due rapporti in cui si denuncia l’affitto di medici cubani a governi stranieri come una vera e propria forma di schiavitù, dove il regime incassa almeno i tre quarti degli emolumenti e lascia agli «schiavi» le briciole. In effetti, in Calabria su 4700 euro pagati dalla Regione ai medici ne andrebbero solo 1200.
«Non vorremmo che, considerata la carenza di risorse, il dumping salariale facesse il suo ingresso anche nel settore medico», è la denuncia di Cimo-Fesmed. E se vogliamo c’è qui un quarto aspetto paradossale, con tanti estimatori ideologici del regime cubano proprio in opposizione a un “ordine mondiale neoliberale” che si baserebbe sullo sfruttamento dei lavoratori del Terzo Mondo apposta per demolire i diritti dei lavoratori del Primo.
Il sindacato, cui aderiscono Anpo-Ascoti, Cimo, Cimop e Fesmed, rileva una quantità di punti contestabili nell’accordo con la società cubana incaricata di individuare i medici disponibili a lavorare in Calabria. Sia formali che sostanziali.
Secondo Guido Quici, presidente della Federazione Cimo-Fesmed e vicepresidente della Cida, «l’utilizzo della procedura dell’accordo quadro per l’affidamento di prestazioni di somministrazione di manodopera è in generale vietato dalla legge se non per il tramite delle Agenzie a ciò autorizzate, e in ogni caso è vietato per l’esercizio di funzioni dirigenziali quali quelle che spettano ai medici. Inoltre la regione Calabria, prima di adottare una soluzione estemporanea come quella di rivolgersi a Cuba, ha del tutto ignorato la possibilità di assumere i medici specializzandi degli ultimi anni di formazione, come previsto dalla legge».
Ma la protesta aggiunge che «non può lasciare indifferenti quanto emerso in una recente pubblicazione della statunitense Fondazione per i diritti umani, che fa luce su un vero e proprio traffico di medici cubani nel mondo per confermare il ruolo dell’isola come potenza medica mondiale: secondo il rapporto, in 60 anni oltre 400.000 professionisti sanitari sarebbero stati costretti da Cuba a lavorare all’estero, trattenendo tra il 75% e il 91% del loro stipendio».
Il rapporto di Human Rights Foundation si occupa in effetti del modo in cui le missioni mediche cubane sono utilizzate «per esportare il marchio ingannevole della diplomazia medica dell’isola e promuovere il mito di Cuba come ’potenza medica mondiale». I 400.000 operatori sono stati schierati in 164 Paesi, e presentati come «missionari della Rivoluzione Cubana». Attualmente ce ne sono tra 34.000 e 50.000 professionisti in più di 60 paesi in Africa, America Latina, Europa e Medio Oriente, e dal marzo del 2020 con l’’occasione del Covid il numero e le dimensioni di queste missioni sono aumentate, con l’invio di oltre 2.770 operatori in più in 26 paesi. Una anche in Italia, di cui c’è il sospetto che Cuba ne abbia approfittato per procurarsi il materiale servito per preparare i suoi vaccini.
Il regime cubano presenta queste missioni come mostra di «solidarietà» e c’è in molti la percezione che siano gratuite, esattamente come quelle che dall’Occidente vengono mandate nel Terzo Mondo. Non solo però non è così. Con produzioni tradizionali come zucchero e tabacco che il regime comunista ha distrutto al punto da arrivare a minimi storici e con la fine dell’aiuto sovietico, già dall’inizio del nuovo millennio affittare medici era diventata una delle principali fonte di entrate del regime. Con la pandemia che ha pesantemente danneggiato il turismo e con Trump che ha pure reso più difficili le rimesse negli ultimi due anni era divenuta quasi l’unica. Nel 2021 sono stati stimati tra i 6 e gli 8 miliardi di dollari all’anno.
Poiché a Cuba i medici guadagnano l’equivalente di 150-200 dollari al mese, entrare nei programmi fa sperare di incassare qualcosa di più. E l’’88,4% di ex-partecipanti a missioni che ha potuto dare una testimonianza ha confermato che era stato spinto dalla povertà. Ma a quel punto, ricorda il rapporto, il personale «affronta violazioni dei propri diritti alla libertà di associazione, alla libertà di movimento e alla libertà di espressione».
Secondo i calcoli fatti da Hrf, in realtà poiché la gran parte dei Paesi in cui i medici vanno sono del Terzo Mondo con il 9-25% di uno stipendio da medico del Terzo Mondo finiscono per prendere anche meno che a Cuba: la media è sui 70-75 dollari. Ma ad esempio in Brasile, dove pure c’è stata una polemica, il 9,36% di stipendio loro riservato equivaleva a 400 dollari. Più del doppio che a Cuba. I 1200 euro calabresi sarebbero sei volte il loro stipendio massimo cubano.
Ci sarebbe, ovvia la tentazione di restare nel Paese, per provare a guadagnare uno stipendio intero. Ma, appunto, qua il regime cubano si blinda in molti modi. Innanzitutto, quasi la metà degli stipendi dei medici è conservata in un conto bancario cubano a cui i medici non possono accedere se non al loro ritorno a Cuba, dopo aver completato la loro missione.
Se i lavoratori «abbandonano» la missione, il regime dopo averli dichiarati «traditori del Paese» confisca la parte del salario trattenuta sull’isola, a parte far passare guai ai familiari. Non potranno inoltre tornare nell’isola in visita se non dopo otto anni, e non potranno esercitare all’estero, perché lo Stato cubano non rilascia permessi o documenti per convalidare il titolo, e anzi dal 2018 ha addirittura vietato la legalizzazione di documenti accademici o di altro tipo per gli operatori sanitari che prestano servizio in missione o partecipano a eventi internazionali. In più il passaporto normale è sostituito da un passaporti speciale che impedisce di viaggiare in luoghi diversi da Cuba, e non viene consentita la residenza permanente nel Paese ospitante attraverso il matrimonio.
Ci sono state poi polemiche ulteriori sulla preparazione. In Venezuela, dove il regime ha pagato i medici cubani in barili di petrolio, c’è una diffusa lamentela sul fatto che in realtà la maggior parte di loro in realtà fossero semplici tecnici sanitari. Anche la Ong Prisoners Defenders ha appena presentato una denuncia secondo la quale i 600 membri della missione medica arrivata in Messico per assistere contro la pandemia erano in realtà militari, proprio per evitare il rischio di diserzioni. Prima di partire avrebbero solo ricevuto un corso intensivo di tre giorni che è poi risultato obsoleto, perchè non li metteva in grado di gestire i respiratori artificiali degli ospedali messicani. In questo caso il governo messicano avrebbe pagato 10.700 dollari per ogni membro della missione, che però ne ha ricevuti solo 600.
Tornando al ricorso della Federazione Cimo-Fesmed, secondo Quici «il ricorso ad enti esterni per il reclutamento di medici crea una concorrenza sleale nel mercato del lavoro che va combattuta senza se e senza ma in tutta Italia, e mi auguro che alla lotta intrapresa dalla Federazione Cimo-Fesmed si uniscano presto altre associazioni di settore».
«Se da una parte i medici delle cooperative vengono pagati anche cinque volte di più rispetto a un medico dipendente del Servizio sanitario nazionale, attirando sempre più professionisti che preferiscono non partecipare ai concorsi pubblici, ai medici stranieri che vengono in Italia, come nel caso dei colleghi cubani, vengono riconosciute retribuzioni inferiori rispetto alla media». Insomma, per la Cimo-Fesmed «l’unico modo per risolvere il problema della carenza di medici è formare nuovi professionisti e bandire concorsi per assumerli stabilmente all’interno del Servizio sanitario nazionale. I concorsi devono essere l’unica porta d’ingresso nel Sistema sanitario nazionale».
(Maurizio Stefanini-linkiesta.it)