Lamezia Terme – Il penultimo appuntamento della terza giornata della dodicesima edizione del festival ha visto ospite sul palco di Trame il Procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli che ben conosce le mafie italiane e internazionali con la moderazione della giornalista Floriana Bulfon. La prima domanda posta al Procuratore rompe il ghiaccio in maniera ferma e precisa, “ma un procuratore, può parlare?”, la risposta è altrettanto chiara e definita e rimanda alle parole di Rocco Chinnici, il magistrato che quarant’anni fa rimane ucciso nell’esplosione della sua auto, una Fiat 127 imbottita di esplosivo, che parafrasandole sottolineano l’importanza di parlare alla gente e soprattutto ai giovani su come la mafia si arricchisca. L’unico modo per contrastare la criminalità è che la collettività sia spinta dal senso civico e reagisca e questo perché di fianco alle organizzazioni criminali tradizionali si affiancano organizzazioni che si sono adattate ai tempi e che si sono infiltrate sia nell’imprenditoria che nella pubblica amministrazione.
Alla domanda relativa ai rapporti tra mafia e zona grigia e su chi tra i due nella società odierna abbia la meglio, il procuratore continua con notevole lucidità a delineare un quadro preciso della situazione, che vuole la contrapposizione tra bene e male, e quindi tra Stato e mafia. In una situazione idilliaca, lo Stato dotato di ogni genere di forza a disposizione dovrebbe prevaricare sulla seconda, ma non è così. Questo perché, come già ribadito, l’organizzazione criminale odierna affonda i propri tentacoli fino alla pubblica amministrazione attraverso un processo innovativo che è la corruttibilità che mette da parte la violenza spregiudicata che ha caratterizzato il periodo stragista passato.
E come mai oggi si assiste ad una quiete così surreale da parte delle organizzazioni mafiose, e non si assiste più alle grandi stragi a cui il nostro paese ha assistito qualche decennio fa? Per il semplice motivo che appare più efficace controllare lo Stato infiltrandosi senza l’utilizzo della forza bruta. I risultati sono più risolutivi e garantiscono rapporti duraturi e sempre disponibili.
La conversazione prosegue ricordando come solo pochi giorni fa il procuratore sia stato oggetto di un possibile atto intimidatorio e di come si ripresenti lo stesso modus operandi di personaggi che hanno lottato contro la mafia puntando su una azione di screditamento, quasi a giustificare l’azione punitiva nei suoi confronti; un esempio è stato il primo fallito attentato contro Falcone preceduto dalla diffusione di lettere anonime circa l’uso dei collaboratori di giustizia perché si ovviasse alla punizione dei criminali servendosi di killer interni alle organizzazioni stesse per farsi giustizia privatamente.
Un binomio quello della delegittimazione/eliminazione che riassume le attività portate avanti dalle organizzazioni mafiose nei confronti di chi si impegna a contrastarla.
Un accenno viene fatto anche in riferimento alla possibile attuazione della riforma Nordio e di come questo possa influire nel contrasto alla criminalità organizzata, legittimando azioni ad oggi punibili.
In chiusura un pensiero sulla possibilità che la lotta alla mafia stia andando scemando, proprio sulla scia dell’abolizione dell’abuso d’ufficio, per esempio. Di certo, però, se taluni personaggi politici si ritrovano a ricoprire nuovamente cariche politiche dopo aver scontato le proprie condanne a seguito di contatti e collaborazioni con la criminalità organizzata, la colpa è da ricercare nella scelta dei cittadini e nella loro volontà. Questo perché manca l’educazione alla legalità e la responsabilità civica perché si opti per una variazione nella rotta di tendenza.
(c.s.)