In Italia l’abusivismo edilizio, concentrato soprattutto al sud e lungo le coste, resta una piaga difficile da curare. A fronte di un territorio sfregiato dal cemento illegale che non conosce crisi, nella Penisola si fa fatica a demolire mentre cresce il numero delle ordinanze. Dal 2004 a dicembre 2022 nelle regioni più a rischio – Calabria, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia – il numero delle demolizioni eseguite è stato del 15,3% dei 70.751 immobili abusivi per i quali è stato stabilito l’abbattimento da parte dei 485 Comuni che hanno risposto in maniera completa al monitoraggio civico promosso da Legambiente, pari al 24,5% del campione totale. In Calabria il dato è ancora piu’ basso: soltanto il 9,6% delle ordinanze di demolizione è stato eseguito. La provincia calabrese con il maggior numero di ordinanze di demolizione eseguite è Cosenza (361) pari al 9,2% delle ordinanze emesse (3.907), Vibo Valentia ha la maggiore percentuale di ordinanze di demolizione eseguite (195) su quelle emesse ( 1.051) pari al 18.6%, seguono Reggio Calabria e Catanzaro mentre Crotone non ha fornito nessuna risposta completa.
In Calabria sono state emesse 6.197 ordinanze di demolizione con una media di 1 ordinanza ogni 297,1 cittadini. Nelle cinque regioni considerate, sommando anche le risposte parziali, il numero totale delle ordinanze emesse si attesta a 83.430. Rilevante l’incidenza del mattone illegale nei comuni costieri dove si arriva ad una media di 395,9 ordinanze di demolizione a Comune, cinque volte quella relativa ai Comuni dell’entroterra.
A scattare la fotografia è il III Report di Legambiente sull’abusivismo edilizio, presentato oggi a Roma e in diretta streaming sul canale youtube dell’associazione, che fa il punto sulle cinque regioni più esposte all’invasione del mattone illegale: le quattro a tradizionale presenza mafiosa e il Lazio, che figurano stabilmente nelle prime posizioni della classifica sull’illegalità ambientale stilata ogni anno nel Rapporto Ecomafia. Quattro gli indicatori presi in considerazione dall’associazione ambientalista per il suo monitoraggio civico: trasparenza, ordinanze di demolizione e abbattimenti eseguiti, trascrizioni immobiliari nel patrimonio comunale, trasmissione alle prefetture delle ordinanze di demolizione non eseguite. La Calabria registra nel complesso 75 immobili abusivi trascritti al patrimonio immobiliare, appena l’1,2 %. Per quanto riguarda le città capoluogo, la prima è Catanzaro, con il 9,7%, Roma supera di poco il 5%, le altre sono a zero. Trasmissione delle pratiche di demolizione non eseguite da parte dei Comuni ai prefetti competenti per territorio: solo il 2,1% delle ordinanze emesse è stato inviato in base all’art.10bis della legge 120/2020 ai prefetti. In Calabria il dato scende all’1,4%.
“Il nuovo rapporto di Legambiente sull’abusivismo edilizio evidenzia, purtroppo, la gravità della situazione – afferma Anna Parretta, presidente di Legambiente Calabria. La nostra regione è, in maniera persistente, in fondo alle classifiche negative a partire dai dati sulla trasparenza sino al numero di ordinanze di demolizione eseguite sul totale di quelle emesse nel corso degli anni, appena il 9,6% nell’arco di quasi un ventennio, ed al numero di immobili acquisiti al patrimonio dei comuni, pari all’1,2%. Un quadro molto preoccupante perché in Calabria l’abusivismo edilizio deturpa troppo spesso e da troppo tempo luoghi di grandissima bellezza sia sulle coste che nell’entroterra, interessa anche territori a rischio idrogeologico e sismico e pesa come un macigno sul futuro della Calabria. L’Amministrazione regionale ha iniziato a dare primi i rilevanti segnali come l’annunciata demolizione, a breve, di Palazzo Mangeruca. La direzione giusta, quanto doverosa, è quella della tutela dell’ambiente e della salvaguardia dell’incolumità di persone ed attività economiche, percorribile solo con il ripristino della legalità e con l’abbattimento degli immobili non sanabili”.
Legambiente rilancia sei proposte al Governo Meloni chiedendo in primis più ruolo e responsabilità ai prefetti, restituendo il senso originario all’art.10bis della Legge 120/2020, se necessario, anche con un nuovo intervento legislativo. La norma era stata approvata dal Parlamento per fare fronte alle mancate demolizioni da parte dei Comuni degli abusi non sanabili nonostante tre condoni edilizi, l’ultimo nel 2003, con un’assunzione dell’onere da parte dello Stato. Pochi mesi dopo l’entrata in vigore della norma, un’improvvida circolare del ministero dell’Interno, ne ha di fatto bloccato l’applicazione, restringendola solo agli abusi edilizi accertati dopo l’entrata in vigore della legge e “salvando” così decine di migliaia di manufatti illegali.