Era il 19 luglio 1992 quando, dopo aver pranzato con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino e la sua scorta si recano in via D’Amelio, dove viveva la madre e la sorella Rita. Erano le 16:58 quando una Fiat 126 parcheggiata sotto l’abitazione, imbottita di tritolo, esplose al passaggio del giudice uccidendo lui e i suoi 5 agenti di scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Dalla deflagrazione si salvò soltanto l’agente Antonino Vullo perché ancora intento a parcheggiare uno dei veicoli della scorta.
Erano passati 57 giorni dalla strage di Capaci dove perse la vita Giovanni Falcone la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
Gli oltre 500 kg di tritolo usati per le stragi non hanno ancora cancellato i nomi di tutti loro neanche a distanza di 32 anni dagli attentati di “Cosa Nostra”. I familiari di Paolo Borsellino rifiutarono i funerali di stato e il 24 Luglio 1992 10mila persone gli resero omaggio nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, chiesa dove il giudice era solito sentire la messa: “Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi” furono le parole nell’orazione funebre pronunciate da Antonino Caponnetto predecessore di Falcone e Borsellino. I funerali dei 5 agenti di scorta si tennero a Palermo, nel Duomo, davanti ad una folla immensa e commossa che all’arrivo dell’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro sfondò la barriera di sicurezza composta da 4000 agenti in segno di protesta. Il neo Presidente della Repubblica fu portato via a stento accompagnato dalle urla “Fuori la mafia dallo Stato”.