(Adnkronos) – "Vorrei avere 18 anni per vivere tutta una vita quaggiù. Mi dispiace non essere venuto qui molto tempo prima per restarci". Pierpaolo Pasolini, intellettuale marxista, parla di New York: cerchiate in rosso la data, 1966: lo scrittore friulano – che tuona contro la civiltà dei consumi – vola quell'anno prima a Montreal, in occasione di una rassegna cinematografica, e successivamente a New York, dove Accattone e Uccellacci e uccellini vengono proiettati al Film Festival. Rimarrà 11 giorni, entusiasmo puro: "Vorrei essere americano". Cosa succede al marxista nella grande Mela? Qualche spunto dal convegno internazionale Pasolini/America, organizzato dal Centro Studi Pier Paolo Pasolini a Casarsa e curato da Alessandro Del Puppo, Andrea Zannini (Università di Udine) ed Elisabetta Vezzosi (Università di Trieste). Pasolini non è Louis-Ferdinand Céline: la "città in piedi" non lo colpisce. I grattacieli gli ricordano le dolomiti, qualcosa di non rappresentabile. A destare interesse sono i giovani "vestiti in modo anticonformista", la lotta politica contro la guerra in Vietnam, la sincerità degli intellettuali, privi di retorica. Racconta l'incontro con un grande erudito: "Quasi si vergognava della cultura, non come Umberto Eco il quale conosce tutto lo scibile e te lo vomita in faccia…". La conferma di Italo Calvino che in America va nel 1960: osserva da vicino un gruppo di lettura, tutte donne "grasse", dice, fanno le massaie e le impiegate: per rilassarsi leggono una pagina dell'Ulisse di Joyce: "Amore per la letteratura – dice – senza ambizioni letterarie e ombra di estetismo: guizzo di pazzia che non può essere altro che America". Ma cosa trova Pasolini in New York? "L'autenticità", dice Filippo La Porta (Università Luiss). Come Mario Soldati e Italo Calvino – e a differenza di Franco Fortini che secondo qualche vulgata chiede addirittura "di essere sepolto in Cina" – i tre si innamorano degli Stati Uniti: stile diretto di relazione e assenza di retorica. Loro che vengono dal Paese del "macchiavellismo, della doppia morale, del melodramma e del gusto del travestimento". Soldati dice che la verità dell'America "è meticcia", mentre Calvino chiosa: "Siamo più americanizzati noi: ci sono più flipper e jeans in Italia". Pasolini è sulla strada e non teme di immergersi nell'inferno di Harlem. Piccola nota: anche Calvino aveva detto: "Voglio andare in una sala di ballo a Harlem e danzare con qualche negra: questi seni, questi fianchi, questa fisicità prorompente…". Poi però non ce l'aveva fatta ed era fuggito dal ghetto. Pasolini rimane e compie la sua anabasi: "La notte scappa agli inviti e se ne va solo nelle strade più cupe, oppure al porto, o nei bar dove non entra nemmeno la polizia", racconta Oriana Fallaci che aggiunge: "Cerca l'America sporca, infelice, violenta che si addice ai suoi problemi, ai suoi gusti: all'albergo a Manhattan torna che è l'alba: con le palpebre gonfie e il corpo indolenzito dalla sorpresa d'essere vivo". Il poeta di Casarsa tra l'"America, giovane, disperata e idealista" e le drag queen di Andy Warhol. Per Pasolini New York "non è una evasione: è un impegno, una guerra. Ti mette addosso la voglia di fare, affrontare, cambiare: ti piace come le cose che piacciono, ecco, a vent'anni". Proprio lui, che viene dai borghi appenninici ed esalta la forza del passato, ritrova se stesso solo nel Paese senza passato. Suggestiva l'interpretazione di La Porta: "Per Pasolini – insegnamento di Gesù nel Vangelo secondo Matteo – bisogna accettare di perdere la propria vita per ritrovarla: perdere il passato e ogni radice per ritrovare l'unico radicamento possibile: l'adesione al presente". Presente che nell'anno domini 1966 vuole dire Bob Dylan, Jack Kerouac, Allen Ginsberg. Ricorda Yulia Patronnikova (Accademia delle Scienze di Mosca) la lettera a Ginsberg: "Tutti gli uomini della tua America sono costretti, per esprimersi ad essere inventori di parole. Noi qui invece abbiamo già il nostro linguaggio rivoluzionario bell'è pronto con dentro la sua morale: si diventa per forza conformisti". Lo scrittore dei 'ragazzi di vita' è entusiasta della beat generation: ribellione ai padri borghesi, stile di vita nomade, ostilità al possesso e ricerca di nuove forme di spiritualità. E il no grande come una casa alla guerra: quella in Vietnam è in corso. Attenzione: per Pasolini – come ricorda Bianca Maria Santi (Università di Trieste) – l'America è tutto a nozze di fascino e contraddizione. Ci sono gli Stati Uniti "centro imperialista globale", capitalisti che bombardano con il Napalm il Vietnam. C'è l'America dei campus e dei contestatori: i sit in, la non violenza, le canzoni di Dylan: "Non sono comunisti né anticomunisti: sono mistici della democrazia". Elogia quella gioventù "che vive nel sogno e idealizza ogni cosa" e paragona quell'attivismo alla Resistenza: "Ho vissuto molte ore nel clima di speranza e urgenza rivoluzionaria che appartengono all'Europa del '44, del '45. In Europa tutto è finito, in America si ha la sensazione tutto stia per iniziare". La protesta degli americani è libera, "in Italia quella marxista è precostituita come un formulario". Frasi forti, che rompono con l'ortodossia del Pci e superano la logica delle due Chiese: l'immagine di un Pasolini marxista lontano dal Pci (da cui era stato espulso nel 1949). Racconta Anna Tonelli (Università di Urbino): il distacco diventa palese il 29 novembre 1967: il poeta fotografato in mezzo ai manifestanti, una bandiera iconica: "Viva la resistenza dell'altra America". Non c'è solo la lotta di classe: c'è chi combatte per la pace e contro le discriminazioni.Pasolini si scaglia contro il "vecchio moralismo stalinistico unito al provincialismo italiano" che condanna i giovani contestatori: quei ragazzi possono essere un motore di cambiamento. Poi viene il 1969, altro viaggio negli Stati Uniti: altro clima. "Tutto è cessato: ne è rimasto il folclore come la stupenda squama di un serpente sgusciato via sottoterra, underground, a lasciare capelloni spenti, piccole gangster, folle di disperati a popolare l'America di Nixon". Dice: "Sono assenti Ginsberg e Dylan". Inizia a prevalere la critica: gli Stati Uniti come germe del consumismo, il fascismo peggiore: "Non reprime con la violenza ma seduce con il desiderio". In Italia osserva con inquietudine il boom economico e la televisione "responsabile del genocidio culturale di almeno 2/3 degli italiani". Teme la contestazione: "Questi negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti predoni, che vogliono tutto a qualunque costo". Partecipa a due grandi battaglie civili su aborto e divorzio, segno per lui di una svolta consumistica prima ancora che laica. Il poeta friulano diventa vate ma viaggia in direzione ostinata e contraria. L'incontro con Ezra Pound, il poeta americano che aderì al fascismo: "Stringo un patto con te, Ezra Pound: ti ho detestato ormai per troppo tempo. Vengo a te come un figlio cresciuto che ha avuto un padre dalla testa dura". La difesa di Israele: "Chi di noi potrebbe garantire agli Ebrei che in Occidente non ci sarà più alcun Hitler o che in America non ci saranno nuovi campi di concentramento per drogati, omosessuali e… ebrei? O che gli ebrei potranno continuare a vivere in pace nei paesi arabi?". E ancora Stati Uniti: sempre entusiasmo e contraddizione, anche nello sport. Pasolini nasce nel 1922, assorbe l'idea sportiva- spiega Saverio Luigi Battente (Università di Siena) – che il regime vuole trasmettere, sebbene depurata poi degli elementi propagandistici: non mero divertimento, ma identità individuale e collettiva. Fruizione attiva e passiva. Così sul calcio: "È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci". Pasolini va a vedere il suo Bologna allo stadio e apprezza delle Olimpiadi di Roma del 1960 la folta rappresentanza di Paesi decolonizzati: non gli garba la spettacolarizzazione, la televisione taglia ogni mediazione diretta tra pubblico e atleti. L'atletica leggera non lo entusiasma. Quando andrà negli Stati Uniti, il poeta non troverà l'amato calcio: lì è praticato soprattutto dalle donne, per Pasolini è uno sport maschile: discorso chiuso. Baseball o football non gli dicono granché. Rimane il basket, che lui aveva conosciuto e praticato a Bologna: si chiamava pallacanestro (l'antenata). Scopre l'altra America, quella dei college dove gli studenti, prima di diventare spettatori, sono atleti. E anche quando vanno allo stadio, non è semplice spettacolo: è liturgia. Nei ghetti trova campi di asfalto sporchi, due ferri attaccati alle estremità dei canestri, un pallone improvvisato: "Ragazzi di vita" d'oltreoceano che si sfidano in gare interminabili, dove l'individualismo e la volontà di esprimersi sono gli stessi dei campi di calcio polverosi delle periferie italiane. Il Basket, strumento di emancipazione per i neri dei ghetti, sarà usato da Nixon e Kissinger come attrezzo di diplomazia per dialogare con l'Europa: soprattutto con la Spagna franchista. Ancora una volta doppio volto: Stati Uniti e America. Piccolo inciso: Pasolini parla degli Stati Uniti delle metropoli, non dell'entroterra profondo: quello degli Stati del centro, oggi schierato in gran parte con Trump. Chissà cosa ne avrebbe pensato l'autore degli "Scritti corsari". (di Andrea Persili) —[email protected] (Web Info)
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