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giovedì, 27 Febbraio, 2025
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VIDEO-Reggio Calabria, truffa all’Agenzia delle entrate: tre arresti, sequestrati oltre 710mila euro

Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha dato esecuzione alla misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di n. 3 persone e al sequestro preventivo della somma complessiva di euro 718.426,25 nei confronti di n. 151 soggetti indagati per reati di associazione a delinquere, truffa ai danni dello Stato, falso, sostituzione di persona, accesso abusivo a sistema informatico. Il provvedimento è stato emesso dal G.I.P. del locale Tribunale, su richiesta della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Capo facente funzioni Giuseppe Lombardo, unitamente a decreti di perquisizione personale e locale emessi dalla Procura della Repubblica reggina nei confronti dei tre destinatari del provvedimento cautelare personale. Le misure cautelari disposte costituiscono l’epilogo di un’indagine condotta dal Gruppo della Guardia di finanza di Reggio Calabria, che ha permesso di individuare – allo stato del procedimento e fatte salve successive valutazioni in merito all’effettivo e definitivo accertamento delle responsabilità – un’articolata associazione a delinquere dedita alla commissione di plurime condotte illecite in danno dell’Agenzia delle Entrate, consentendo agli indagati di conseguire l’indebita percezione di rimborsi IRPEF complessivamente di enorme portata. Le indagini, svolte a partire dal 2019, hanno avuto origine da una segnalazione della Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Reggio Calabria, nella quale venivano evidenziate anomalie sulla compilazione di alcune dichiarazioni fiscali. L’attività investigativa che ne è conseguita si è sviluppata, tra l’altro, attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, copiose acquisizioni documentali, indagini bancarie e analisi di numerosi supporti informatici.

Il modus operandi adottato dall’organizzazione delinquenziale prevedeva l’acquisizione delle credenziali di accesso ai servizi telematici dei contribuenti, carpite indebitamente (anche attraverso il coinvolgimento di pubblici ufficiali infedeli) o ottenute mediante la diretta comunicazione da parte dei contribuenti stessi (a volte ignari, a volte compiacenti di quanto stava accadendo). In questo modo, gli indagati riuscivano a sostituirsi a questi ultimi, a inserire le relative dichiarazioni, a gestire le pratiche di rimborso e a verificarne il buon esito. L’articolata associazione criminale era organizzata in maniera strutturata e gerarchica. Al suo vertice figuravano i destinatari degli arresti domiciliari i quali si servivano di altri soggetti “intermediari” che avevano – a loro volta – il compito di “procacciare” i contribuenti da coinvolgere nelle descritte operazioni illecite, agendo secondo una precisa spartizione territoriale. Ai citati “intermediari”, quindi, era affidato il compito di reclutare i contribuenti e indurli, dietro proposta di ottenimento di denaro facile sotto forma di rimborsi, a fornire i propri dati personali, le credenziali di accesso al portale dell’Agenzia delle Entrate e la documentazione necessaria alla presentazione delle dichiarazioni fiscali fraudolente.

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Più nel dettaglio, i contribuenti coinvolti venivano “arruolati” tra parenti o amici degli stessi procacciatori o nell’ambito di intere categorie omogenee di soggetti quali, ad esempio, alcune associazioni di pescatori dell’area tirrenica, i dipendenti di alcune società a partecipazione statale e i dipendenti di talune aziende operanti in alcune aree portuali calabresi. La struttura criminale si avvaleva, come dianzi accennato, anche di pubblici ufficiali infedeli, uno di essi allo stato in pensione, i quali, sfruttando il loro status di dipendenti dell’Agenzia delle Entrate, si adoperavano per procurarsi le credenziali di accesso dei contribuenti da mettere a disposizione del costituto criminale. Gli organizzatori del meccanismo fraudolento provvedevano ad alterare le dichiarazioni fiscali attraverso diverse modalità, quali:

– l’indicazione, nell’elenco dei familiari a carico, di soggetti (coniuge, figlio, figlio con disabilità) appartenenti di fatto ad altro nucleo familiare e/o comunque non riconducibili al dichiarante, ovvero di cittadini italiani cancellati dall’Anagrafe dei comuni italiani e iscritti all’A.I.R.E (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero);

– l’inserimento di spese sanitarie, spesso anche di ingente entità, inesistenti e/o non giustificabili dal dichiarante;

– la richiesta di rimborsi IRPEF in relazione a ritenute fittiziamente subite con riguardo a redditi falsamente percepiti.

I vertici del sodalizio, per non essere individuati, adottavano una serie di accorgimenti, quali, ad esempio, l’assenza di contatti diretti con i contribuenti finali (in modo da salvaguardare la propria identità) oppure l’utilizzo di una rete di operatori CAF inesistenti dislocati sul territorio ovvero l’apertura di veri e propri centri di raccolta che, accreditati presso sigle sindacali nazionali, nei fatti si rivelavano invece fittizi e solo serventi alla trasmissione dei modelli dichiarativi fraudolenti. Inoltre, allo scopo di ridurre al massimo il rischio di essere scoperti, il rimborso indebitamente richiesto e ottenuto veniva sempre limitato ad una somma inferiore a euro 4.000 (limite oltre il quale è prevista l’attivazione delle procedure automatizzate di controllo in tema di dichiarazioni dei redditi). Il sistema truffaldino – che nel tempo si era ramificato su un vasto territorio della provincia di Reggio Calabria, permettendo l’ottenimento di profitti illeciti di notevole entità – aveva raggiunto una portata talmente ampia da attirare anche l’attenzione di alcune cosche di ‘ndrangheta, in particolare di quella dei Pisano detti “i Diavoli”, egemone nella piana di Gioia Tauro. Per ogni rimborso non dovuto, ciascun soggetto restituiva al sodalizio il 40% del percepito, trattenendo per sé il restante 60%. Al riguardo, sono stati individuati, complessivamente, oltre 1.200 modelli dichiarativi infedeli, relativi agli anni di imposta dal 2016 al 2022, che hanno consentito indebiti rimborsi per un importo complessivo pari ad euro 718.426,25 (di cui circa 312.119,29 corrisposti ai membri dell’associazione criminale), sottoposti a sequestro con l’odierno provvedimento cautelare.

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