Avvisati in anticipo dell’arresto, gli indagati ancora liberi hanno avuto il tempo di minacciare i testimoni. L’interrogatorio preventivo inventato dalla legge Nordio ha fatto danni anche a San Giovanni in Fiore, in provincia di Cosenza, dove i Carabinieri hanno eseguito misure cautelari nei confronti di trenta persone, disposte dal gip su richiesta della Procura cosentina guidata da Vincenzo Capomolla. L’operazione puntava a stroncare un presunto giro di spacciatori nel piccolo comune del nord della Calabria: le accuse sono di detenzione e spaccio di cocaina, eroina, marijuana e hashish. Le indagini sono partite dall’arresto in flagranza di un soggetto trovato in possesso di un cospicuo quantitativo di droga: grazie alle intercettazioni e alle telecamere, gli investigatori hanno ricostruito il canale di rifornimento dello stupefacente e documentato innumerevoli cessioni.
A riscontro degli elementi emersi nelle intercettazioni, si legge in un comunicato stampa, i militari hanno eseguito numerose perquisizioni e appostamenti che hanno portato a sequestri di sostanze stupefacenti. E hanno interrogato anche “numerosissime persone informate sui fatti“, ascoltate a sommarie informazioni. In base alla riforma voluta dal ministro della Giustizia, però, prima di arrestare i presunti spacciatori la Procura ha dovuto convocarli per un interrogatorio, mettendo a disposizione della difesa gli elementi a loro carico, comprese le deposizioni dei testimoni. I nomi di questi ultimi, dunque, sono stati resi noti quando gli indagati erano ancora in libertà, invece che dopo l’arresto: così chi ha collaborato con gli investigatori si è trovato esposto a prevedibili ritorsioni. “Tra l’esecuzione dell’interrogatorio e l’emissione del provvedimento restrittivo, alcuni dei soggetti assunti a sommarie informazioni, nel corso delle indagini, hanno segnalato di essere stati oggetto di condotte intimidatorie, violente e diffamatorie, anche sui profili sociali”, segnalano i Carabinieri. E quelle stesse persone, se si andrà a processo, potranno essere chiamate in aula per confermare le dichiarazioni rese durante le indagini, per le quali sono state già intimidite.
Il caso calabrese è quasi identico a un’altra vicenda, raccontata dal Fatto a settembre scorso: in una città ad altissima densità mafiosa, un testimone a carico di una banda di presunti spacciatori, il cui nome era finito negli atti depositati con l’”avviso di arresto”, era stato minacciato e costretto a cambiare dimora. Tra gli indagati preallertati grazie a Nordio, poi, c’è chi si mette d’accordo per inquinare le prove (come accaduto in un’inchiesta della Procura di Bergamo) o chi taglia direttamente la corda, come ha fatto un presunto trafficante di eroina per sottrarsi a un’ordinanza di custodia cautelare del gip di Ascoli.
(Fonte: il fatto quotidiano- Lucio Musolino)