Oggi, come negli anni ’70, Rino Gaetano rimane una figura peculiare e inclassificabile nel panorama della musica leggera italiana. Aveva portato nel cantautorato influenze poco ortodosse, che andavano dalla musica sacra ai suoni in levare di reggae e rocksteady. Non era né impegnato e organico alla sinistra, come un De Gregori, né disimpegnato al punto di beccarsi del qualunquista, o peggio, come Battisti. Eppure il suo impegno sociale era molto meno astratto di quello sbandierato da colleghi sulla carta più politicizzati, per quanto le sue liriche fossero tutt’altro che dirette, piene com’erano di allegorie, apparenti nonsense, spunti surrealisti.
Come quella di altri grandi irregolari, l’opera di Rino Gaetano è invecchiata molto bene. Si vedono tanti volti giovani alle manifestazioni musicali in suo ricordo che si svolgono il 2 giugno, anniversario della sua prematura morte avvenuta nel 1981 in un incidente stradale, a Piazza Sempione, cuore di Montesacro, il quartiere romano dove viveva. Le cover band a lui dedicate, dai Ciao Rino ai Sei Ottavi, hanno carriere ormai ventennali che le hanno portate anche all’estero e i loro concerti sono sempre affollati. E un capitolo a parte meriterebbe il ruolo di totem culturale sempiterno per tanti calabresi, studenti fuori sede o ex tali, che, come lui, hanno scelto Roma. Se Gaetano continua a parlare a così tante persone è anche per una poetica che racchiude l’eredità della provincia profonda e gli infiniti stimoli di una metropoli in fermento come la Roma degli anni ’70, quella del Folkstudio di via Garibaldi. Giusto quindi che sia Trastevere a ospitare la prima mostra dedicata all’artista.
L’esposizione è curata da Alessandro Nicosia e da Alessandro Gaetano, figlio di Anna, che della memoria dell’indimenticato fratello è custode e ha messo a disposizione materiali esposti spesso per la prima volta. Documenti, foto, cimeli artistici, la raccolta dei dischi, video, strumenti musicali, manifesti, la sua collezione di cappelli, abiti di scena come l’accappatoio indossato durante il Festivalbar all’Arena di Verona e la giacca in pelle utilizzata a Sanremo.
Oltre all’intera discografia di Rino Gaetano, sei Lp pubblicati dal 1973 al 1980, sono esposti alcuni dei dischi della sua collezione personale, che mostrano un gusto molto eclettico. C’è Paul Simon, c’è Lucio Battisti, ci sono i Rolling Stones. I Pink Floyd, I Doors, Bowie, De André… E poi i suoi taccuini, con appunti, scalette e caricature.
“È una mostra volutamente leggera”, spiega Nicosia, che di Gaetano ricorda “l’impegno sociale, anticonformismo e il coraggio di attaccare la corruzione dei politici, portando avanti il tutto con timidezza e leggerezza, accompagnate da grande generosità”. Alla presentazione della mostra, ospitata dal Museo di Roma in Trastevere fino al 28 aprile, tre musicisti diversissimi ma accomunati dall’amore per Rino Gaetano, hanno portato la loro testimonianza. Sergio Cammariere racconta di quando scoprì di essere cugino di Rino Gaetano in quanto suo nonno paterno, gran tombeur de femmes, fu padre di Maria Gaetano, madre di Rino. Giusy Ferreri ha menzionato la “grande personalità e onestà nello scrivere i testi” che hanno consentito a quelle canzoni di resistere al tempo e ha ricordato l’impatto di “Gianna”, prima canzone portata a Sanremo a includere la parola “sesso”.
Per Riccardo Cocciante Gaetano, con cui condivise una tournée, era “un vero artista, ovvero una persona che non sceglie quello che fa, è scelto dalla vita per fare quella determinata cosa e certe volte subisce questo suo ruolo che deve assumere”. “Certe volte fa piacere ma l’artista lo fa comunque anche senza successo”, ha aggiunto, “invece un impiegato della musica lo decide e a un certo momento se vuole smette. L’artista non smette mai. Non può smettere. Rino era così”.
(Agi)