Chiunque ha dubbi o pregiudizi sul lavoro dell’operatore all’emotività, affettività e sessualità per le persone disabili dovrebbe vedere il film “Because of my Body” di Francesco Cannavà. Dove la forza delle immagini e le parole colpisce allo stomaco e arriva al cuore.
Non è fiction, è tutto vero. Il docufilm, che sarà presentato domani sera a Castrolibero per il festival “Ailoviù”, dedicato a sesso e disabilità e promosso dall’associazione culturale “La stanza di Ilaria”, è stato girato in collaborazione con Lovegiver Onlus (il comitato che in Italia forma gli Oeas e punta al riconoscimento della professione) e segue il percorso di una giovane affetta da spina bifida insieme all’operatore che la guida a conoscere il suo corpo e la sua intimità. Senza filtri una full immersion nella condizione di dolore e solitudine di Claudia, bellissima ventenne piena di vita, passione, curiosità e voglia di nuove scoperte, esattamente come i suoi coetanei. La più importante, l’amore, le è preclusa a causa della sua grave disabilità motoria.
Detta così sembra una banalità buonista ma nel film lo sentiamo dalla voce di una ragazza che rivendica il suo diritto ad essere come gli altri: guidare da sola con l’auto speciale, avere un fidanzato, provare un orgasmo, perdere la verginità. Claudia che si trucca troppo, guarda i porno e aveva persino contattato un gigolò ma non è riuscita ad incontrarlo. Claudia che sembra sfrontata ma poi non sa dov’è situata la clitoride. Quando la sentiamo parlare dei suoi desideri e confidare le sue frustrazioni, il supporto di un Oeas non appare più un’idea scandalosa. Il docufilm ha scelto la strada più difficile, quella del rapporto tra una disabile donna e un operatore uomo, maggiormente tabù perché gravata anche dai coriacei preconcetti sessisti sul piacere delle donne. «E’ così – dice il regista Cannavà – ho fatto questa scelta per abbattere questi stereotipi. Il diritto al piacere inalienabile è riconosciuto ad ogni individuo, al di là del sesso o della condizione personale». Di cosa si tratta lo si capisce benissimo nel film, dove l’approccio intimo tra i due protagonisti è delicato ed empatico, senza possibilità di equivoci del malpensiero. Continua Cannavà: «Il piacere non è l’atto sessuale nel suo senso animalesco e di possesso dell’altro. Claudia inizialmente lo conosce solo così, dalla pornografia, ma grazie al percorso con l’operatore Marco lo scopre come dimensione di benessere. Gli Oeas fanno questo. Non si tratta, come pensano in molti, di avere rapporti sessuali, non è quello il diritto sancito dalla scienza e in molti paesi anche legislativamente. Il lavoro è aiutare le persone con disabilità a scoprire l’esperienza privata del piacere come fonte di armonia e salute del corpo, che loro identificano soltanto con la malattia».
Nel film, peraltro, si mostrano momenti del corso per Oeas con esperti e psicologi e Max Ulivieri, fondatore di Lovegiver, non mette la testa sotto la sabbia ammettendo che agli esordi questi assistenti venivano richiesti da infermieri dei disabili per reagire a situazioni imbarazzanti che coinvolgevano la sfera sessuale dei pazienti: una modalità che confinava con il reato di favoreggiamento della prostituzione e oggi è stata integrata con una formazione completa oltre la sessualità tout court.
Nel documentario nessuno recita e la storia si compone in presa diretta, filmata nel momento in cui accade. «E’ il cinema del reale – spiega il regista – che mostra la vita nella sua massima emotività». “Because of my body” fa parte di una trilogia che Cannavà ha realizzato sul tema del corpo, insieme a “Veneranda Augusta“ e “Space Beyond”, che indagano la corporeità in relazione con l’inquinamento e lo spazio. La scelta di parlare di sesso e disabilità è «una situazione estrema ma nello stesso tempo diventa condivisibile per tutti perché attraverso la storia di questa ragazza io racconto anche i limiti, i tabù, i buchi neri di ognuno di noi. I corpi di Claudia e Marco si sono messi al servizio di una storia universale». Partito grazie al crowdfunding, il documentario è stato poi portato avanti e ultimato grazie alla B&B Film con Raffaele Brunetti e a Raitre con il commission editor Fabio Mancini, che ha consentito il passaggio sulla terza rete in una versione ridotta e nel programma Doc3. Presentato in numerose rassegne internazionali, è stato premiato come miglior film al CinemAbility Fest.
In “Because of my Body”, Claudia (Muffi, autrice anche di un libro biografico) e l’operatore Marco vivono un rapporto molto intenso, destinato ad interrompersi con grande turbamento di entrambi. Vietato innamorarsi era la premessa già nota, ma quando sei una ventenne in subbuglio ormonale e per gli uomini ti senti un corpo invisibile non è semplice rispettare le regole. Soprattutto quando a dettarle è il corpo, autoritario e istintivo. Marco soffre per la necessità di disilludere senza tentennamenti l’inevitabile dipendenza affettiva di Claudia, la ragazza si sente abbandonata nella lancinante assenza di chi per la prima volta le ha fatto scoprire di essere donna. Ne derivano rabbia, autolesionismo e comportamenti aggressivi: alla famiglia che non sa come gestirla sembra che questo percorso le abbia fatto più male che bene. In realtà, superando le barriere culturali e gli stereotipi, ci si accorge che la storia di Claudia non è diversa da quella di tanti dolori che nella vita aiutano a crescere e diventare forti. «I disabili – commenta Francesco Cannavà – non devono restare in una gabbia dove sono protetti da ogni emozione. Per vivere e diventare persone adulte e complete devono provare tutte le esperienze fisiche, materiali ed emotive, compreso il dolore. Naturalmente in questa fase molto difficile non bisogna essere soli e infatti Claudia dopo il distacco da Marco è stata seguita da Lovegiver in un percorso psicologico con il dottor Fabrizio Quattrini. Nel finale del film la ragazza soffre molto ma quella era una pagina che si chiudeva, oggi lei ne ha aperta una nuova».
Sappiamo che Claudia studia lingue e letterature straniere all’università ed ha avuto una storia d’amore, finita con altro dolore e affrontata non come materia sconosciuta ma con la consapevolezza di una ragazza della sua età. Potrebbe essere lei stessa a raccontarlo domani sera all’anfiteatro di Castrolibero in videocall durante il dibattito che seguirà la visione del film, con il regista e la psicologa Paola D’Oto.
Isabella Marchiolo