Giuseppe Galati non ha aiutato i clan a mettere le mani sull’Asp di Catanzaro. Si è chiusa così la vicenda giudiziaria dell’ex sottosegretario calabrese, per il quale oggi la procura distrettuale ha chiesto e ottenuto l’archiviazione nel procedimento “Quinta Bolgia”, l’inchiesta che a fine 2018 ha travolto l’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro. Una vicenda alla quale il politico è risultato estraneo, così come riconosciuto ora dalla Dda guidata da Nicola Gratteri e prima ancora dalla Cassazione, che aveva stroncato le accuse che lo avevano portato agli arresti domiciliari prima e al divieto di dimora poi.L’inchiesta aveva svelato gli interessi delle famiglie di ‘ndrangheta di Lamezia Terme su ambulanze e onoranze funebri.
Un affare coltivato, secondo l’accusa, dagli uomini riconducibili al clan Iannazzo-Daponte-Cannizzaro, grazie anche, secondo la prima prospettazione degli inquirenti, all’aiuto di politici come Galati, ritenuto «al servizio della ‘ndrangheta», secondo quanto scriveva il gip. Che richiamava le dichiarazioni di diversi pentiti, secondo cui «la sua carriera politica è stata resa possibile da sempre per il sostegno delle cosche lametine».
Ma la Cassazione, a luglio scorso, ha disarticolato l’impianto accusatorio, accogliendo tutti i motivi di ricorso avanzati dagli avvocati Francesco Gambardella e Salvatore Cerra. L’accusa – turbata libertà del procedimento di scelta del contraente aggravata dal fine di agevolare l’associazione mafiosa – si basava anche su alcune intercettazioni ritenute utilizzabili dal Riesame in quanto «casuali», poiché effettuate nel corso di operazioni nei confronti di altri soggetti, non essendoci, in origine, elementi a carico del politico.Ma quelle intercettazioni, avevano replicato i giudici di Cassazione, sono «inutilizzabili», anche se casuali: sarebbe stata infatti necessaria una successiva richiesta di autorizzazione alla Camera, nel caso in cui fosse stato ritenuto necessario utilizzare conversazioni o i tabulati. Richiesta che non è stata avanzata, rendendo quelle registrazioni «del tutto inutilizzabili». Ma non solo: i giudici parlarono anche di «infondatezza dell’ipotesi di accusa». Mancava, in particolare, un’indicazione chiara su come, materialmente, sarebbe stato consumato il tentativo di turbare la libertà del procedimento di scelta del contraente, dal momento che «all’esito dell’incontro incriminato» – ovvero quello tra un ex consigliere comunale e l’ex direttore amministrativo dell’Asp – «nulla di concreto è stato fatto dai presunti correi e, quindi, non risulta che il Galati abbia fatto nulla di più del mettere in contatto le parti interessate». Insomma, per i giudici «non vi sono elementi che consentano di andare oltre la mera congettura».
E non basta, concludevano, la mera conoscenza delle relazioni criminali locali per sostenere l’aggravante della “finalità mafiosa”. La Dda, però, convinta della bontà della propria tesi, aveva notificato all’ex deputato del centrodestra una nuova accusa, contenuta nell’avviso di conclusione indagini, ovvero il concorso esterno in associazione mafiosa. Ma i legali di Galati erano sicuri: «abbiamo sempre e fermamente creduto nelle tesi difensive e soprattutto nell’estraneità di Pino Galati a contesti vicini alla ‘ndrangheta o finalizzati a commettere condotte penalmente rilevanti – aveva sottolineato Cerra al Dubbio -. Dalle carte emerge chiaramente che Galati non avesse avuto contatti con la criminalità organizzata. Ciò che fa è limitarsi a mettere in contatto un consigliere comunale con un dirigente. E questa credo che sia una cosa normalissima per un politico». La decisione di oggi, commentano oggi i legali, «ridà giustizia e dignità all’onorevolele deputato, pur senza lenire la sofferenza e l’amarezza che da quella ordinanza ne erano derivate».Intanto l’ex sottosegretario il 17 luglio dovrà affrontare un altro processo, quello relativo all’inchiesta “Calabresi nel mondo”, dal nome dell’ente in house della Regione Calabria. Per lui l’accusa ipotizza una distrazione di fondi comunitari.
(ildubbio.news)