Ascolti record anche per la seconda puntata della fiction Rai “La sposa”, che supera se stessa raggiungendo il 28,7% di share con oltre sei milioni e mezzo di telespettatori. Nonostante le polemiche – e anche un po’ grazie alla curiosità suscitata dalle accuse bipartisan di inesattezze storiche scagliate da Calabria e Veneto, le due terre al centro del film tv diretto da Giacomo Campiotti. Nell’ultima settimana la fiction si è tirata addosso molti strali, ma altrettanti sono stati gli interventi a difesa, che trovano puntuale riscontro nell’audience. In televisione è quello il dato che conta davvero ed è ormai assodato che alla maggioranza degli italiani (calabresi e veneti compresi) questa fiction piaccia.
Merito – riconosciuto ovunque – della bravura della protagonista Serena Rossi, che nel ruolo di Maria ha conquistato tutti. Dopo la gragnuola di addebiti anacronistici legati alla stereotipizzazione femminile sembrerebbe un controsenso, eppure il paradosso è che proprio il personaggio della giovane sposa calabrese rappresenta il polo di attrazione uguale e contrario a quello di chi l’ha criticata, e per le stesse ragioni: da una parte modello femminile emancipato colpevole di mettere in evidenza in modo troppo enfatico l’arretratezza e l’ignoranza delle donne calabresi del 1967; dall’altra, motivo di orgoglio e appartenenza per i valori che, attraverso lei, si attribuiscono a un intero popolo, elevandolo dal cinismo e l’arroganza dei veneti, contraltare morale negativo della storia.
Nella seconda puntata, infatti, Maria prende le redini dell’educazione del figlio di primo letto del marito, sfodera qualità imprenditoriali superiori a quelle del retrogrado patriarca Vittorio e conquista l’ammirazione delle femministe. Per chi è stata donna in Calabria nel 1967 quanto per la generazione successiva questo personaggio incarna un’attestazione di merito, un piccolo risarcimento alle tante vessazioni antropologico-sociali e culturali subìte dalle donne calabresi.
Esattamente quello che, invece, non piace a chi ha demolito la serie in quanto infarcita di banalità e riletture storiche fantasiose. A proposito di libertà narrative, c’è ad esempio un’incoerenza lampante e quasi puerile: possibile che una donna cresciuta tra asini, acquasantiere di plastica e miseria fosse consapevole del valore dell’istruzione tanto da risparmiare per far studiare il fratello e da promuovere la scolarizzazione del figliastro?
Una rosea concessione alla realtà dei fatti decisamente romanzata, ma è proprio questo che alla gente piace della “Sposa” – che sia un feuilleton, una telenovela patinata da evocazioni di una storia italiana restituita come avvincente e drammatica. Poco importa che il contesto sia documentato con esattezza e ancora meno che nella serie si preferisca andare a colpo sicuro scegliendo un registro collaudato anziché tentare di proporre uno sguardo innovativo su temi come l’emigrazione o la condizione del Sud e delle donne. E’ intuibile che, a monte della scelta di non uscire dalla comfort zone creativa, ci sia la percezione che un pubblico che ha amato alla follia “Il segreto” premierà una storia di intrighi, amori appassionati, riscatto e lieto fine – da qui la volontà di confezionarla a tavolino di conseguenza, mirando a quel target popolare che chiede sogno e leggerezza.
Intanto in Calabria, smorzate le polemiche sul fronte della fedeltà storiografica della trama, il dibattito resta acceso attorno al malumore per l’occasione di visibilità perduta con la migrazione di Campiotti in Puglia. Il regista ha fatto una scelta comparativa tra le offerte di servizi locali (arrivate da entrambe le regioni) e ora, soprattutto in seguito alla grande attenzione mediatica scatenata attorno alla serie, molti si rammaricano della vetrina sottratta alla Calabria in favore del Gargano. I pugliesi, dal canto loro, si sono lamentati della confusione tra credit reali e di finzione. Ed è questo – cioè come vendere l’immagine del territorio al cinema e come vigilare su quello su cui si investe – il vero tema di riflessione per i set delle regioni del Sud, che a non farsi rifilare affari taroccati devono stare più attente delle altre.
Isabella Marchiolo
(Il quotidiano del Sud)