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domenica, 23 Marzo, 2025
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Bimbo calabrese morto al ‘Bambino Gesù’: il nonno: “Era il 31 dicembre e in ospedale non c’era nessuno”

Due anni, un problema congenito al cuore e un calvario ospedaliero segnato da una sequenza di “imperizie ed errori” che hanno portato alla morte del piccolo Giacomo Saccomanno (nato a Rosarno). Ora, la vicenda potrebbe sfociare in un processo per cinque dottori del Bambino Gesù, il miglior ospedale pediatrico d’Italia, al sesto posto nel ranking mondiale delle strutture specialistiche. La procura di Roma ha infatti richiesto il rinvio a giudizio di 5 cardiologi: Mario Salvatore Russo, Antonio Ammirati, Roberta Iacobelli, Sonia Albanese e Matteo Trezzi, tutti accusati di omicidio colposo. È una vicenda complessa, quella che la prossima settimana arriverà nelle aule del giudice per le udienze preliminari, un caso inizialmente archiviato e poi riaperto sulla base di una nuova denuncia. La storia di Giacomo Saccomanno inizia il 14 settembre del 2016, quando nasce con un “blocco atrioventricolare completo congenito”. Un percorso in salita, quello del piccolo Giacomo, costretto a un intervento chirurgico a Taormina nel suo primo giorno di vita. La sua famiglia, sempre al suo fianco, lo accompagna dai migliori medici nei centri più rinomati. Per questo motivo, dalla Calabria arriva a Roma per affidarsi alle cure di un centro di eccellenza. Le visite sono costanti, ma due anni dopo qualcosa va storto. Il 26 aprile del 2018, i cardiologi Russo e Ammirati visitano Giacomo al Bambino Gesù di Roma. “Durante gli esami eseguiti, riscontrano un ingrandimento atriale destro”, si legge negli atti.

“Non rilevano però la presenza di rettilineizzazione del pacemaker, dell’elettrocatetere e degli elettrodi, che appaiono dislocati con ampie curve verso il mediastino superiore”. In altre parole, dopo aver esaminato anche la radiografia, risalente a un paio di settimane prima, non si accorgono del “potenziale strangolamento in atto”. Osservano solo una posizione eccessivamente elevata degli elettrodi epicardici, sostengono i pm. Secondo l’accusa, avrebbero dovuto prescrivere anche raggi al torace in posizione laterale, ma non lo fanno, ritardando gli accertamenti. Il bambino è in ospedale anche il giorno seguente, il 27 aprile. A visitarlo è il dottor Russo, che lo sottopone a un elettrocardiogramma, rilevando una “lieve dilatazione e ipertrofia del ventricolo destro”, oltre a “insufficienza polmonare” e consigliando un angio-TC del circolo polmonare. Un altro errore, secondo i pm. Non prescrive d’urgenza una Tac al cuore, che verrà effettuata solo due mesi dopo. Per il medico, si trattava di un caso di “classe di priorità B”. Passano i mesi, e il 12 novembre 2018 Giacomo è di nuovo in ospedale per un’altra Tac. I medici pensano a un intervento, ma questo viene rinviato diverse volte. Il paziente, però, è seguito. Il 21 dicembre è ancora al Bambino Gesù, dove incontra la dottoressa Iacobelli, che rivela diverse problematiche ma non prescrive una dimissione protetta. Giacomo è libero di allontanarsi da Roma.
Così, il 31 dicembre Giacomo si trova in Calabria con la famiglia, quando le sue condizioni precipitano. La corsa all’ospedale di Polistena e il volo con aereo militare atterrato a Roma sottolineano la gravità della situazione. Alle nove di sera dell’ultimo giorno dell’anno, quando Giacomo arriva al Bambino Gesù, non viene operato subito. Solo l’1 gennaio del 2019, “con macroscopico ritardo”, inizia l’intervento. Ancora uno sbaglio, dice l’accusa: le cannule arteriose e venose vengono posizionate male. Giacomo entra in coma. Morirà il 3 gennaio 2019. Sei anni dopo, i medici rischiano di finire a processo per omicidio colposo nel processo in cui la famiglia della vittima si costituirà parte civile attraverso gli avvocati Domenico Naccari e Jacopo Macrì.

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“Dopo una lunga e dolorosa battaglia giudiziaria, durante la quale abbiamo dovuto affrontare continui tentativi di occultare la verità, finalmente iniziamo a intravedere quella giustizia che mio nipote Giacomo, morto a soli due anni a causa di malasanità, merita pienamente – dice il nonno della vittima, anche lui si chiama Giacomo Saccomanno – Questa è stata e continuerà ad essere una battaglia di civiltà, portata avanti per ottenere giustizia per il piccolo Giacomo. Non mi arrenderò fino a quando non sarà fatta piena giustizia per lui e per tutte le famiglie costrette ogni giorno a combattere contro un sistema che troppo spesso lascia impuniti errori inaccettabili”.
(Fonte: repubblica.it)

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