“L’ho lasciato cadere”, “ho avuto un capogiro”, “poi sono andato a mangiare una pizza”: sono alcuni dei passaggi del racconto che Mariano Cannio, 38 anni, fa durante l’interrogatorio, agli investigatori e davanti al pubblico ministero, ricostruendo cosa è accaduto al piccolo Samuele, 4 anni, morto dopo essere precipitato in strada, in via Foria, dal terzo piano di casa sua, a Napoli, la mattina dello scorso 17 settembre. Il giudice per le indagini preliminari Valentina Gallo, ha convalidato il fermo, per omicidio volontario, e nell’ordinanza di convalida gli stralci dell’interrogatorio choc rilasciato dall’uomo, che faceva saltuariarmente le pulizie nella casa, al centro di Napoli, della famiglia di Samuele e che aveva nascosto, come rivela lui stesso, la diagnosi di schizofrenia e di essere in cura in un centro di igiene mentale.
L’uomo racconta che intorno alle 9.15 era in casa della famiglia, una casa a due piani. C’era solo la mamma con Samuele, il marito era andato a lavoro. Ha iniziato a pulire il bagno, poi la cucina. E mentre era in cucina, la madre di Samuele va in bagno e il piccolo entra, cerca delle merendine. Lui lo aiuta.
“Rispondere alle domande in ordine a quello che è successo mi fa venire in mente tutto quello che è accaduto e provo una brutta sensazione” – dice a verbale, con la presenza dell’avvocato di ufficio – “quando ho preso in braccio Samuele mi trovavo dentro casa ed ero vicino al mobile cucina. Mentre avevo in braccio Samuele gli ho parlato e lui mi ha detto che dopo sarebbe andato a giocare a calcio e io gli ho raccomandato di fare goal”. “Dopo poco tempo – continua – sono uscito fuori al balcone, avendo sempre il piccolo in braccio, e appena uscito in prossimità della ringhiera ho avuto un capogiro”.
“Mi sono affacciato dal balcone mentre avevo il bambino in braccio perché – spiega – udivo delle voci provenire da sotto, a questo punto lasciavo cadere il bambino di sotto. L’ho fatto perché in quel momento ho avuto un capogiro. Dopo che ho fatto cadere Samuele non mi sono nemmeno affacciato perché ho avuto paura. Infatti mi sentivo in colpa per quello che era accaduto essendo consapevole di esserne la causa. Appena ho udito le urla provenire da sotto sono scappato e mi sono diretto nel vicino quartiere Sanità, dove ho mangiato una pizza. Infatti avevo una fame nervosa scaturita dalla paura”.
(Askanews)