L’attività chirurgica programmata negli ospedali pubblici italiani “è di fatto ferma, limitata agli interventi d’urgenza o a salvaguardare quelli oncologici non rimandabili. Ma in queste condizioni si sommano ritardi a ritardi, e la situazione delle liste d’attesa è terrificante”. A fare il punto con l’Adnkronos Salute è Marco Scatizzi, presidente dell’Associazione chirurghi ospedalieri italiani (Acoi), preoccupato per l’aggravarsi della situazione epidemiologica legata alla pandemia Covid.
“Se una operazione programmata alla colecisti, che di norma si supera con una operazione in laparoscopia e una notte di degenza, viene rimandata per un anno o oltre – rimarca Scatizzi – il paziente si ritroverà con una pancreatite. Una condizione che può diventare invalidante. Quindi abbiamo oggi malattie benigne che si trasformano in patologie letali”. Dopo due anni di pandemia sembra che nulla sia cambiato per i pazienti non Covid che necessitano di un ricovero o un intervento programmato.
“Il finanziamento ad oggi non ha coperto la stabilizzazione degli infermieri e dei medici che sono stati assunti per l’emergenza – ricorda il presidente Acoi – Se avessimo dato una programmazione certa a queste risorse umane, forse oggi non saremmo in queste condizioni”. Ma come si può recuperare sul fronte delle liste d’attesa? “Se il ministro della Salute, Roberto Speranza, e le Regioni investono oggi in quello che chiediamo, ovvero più operatori (infermieri, anestesisti, chirurghi) e nelle strutture, in un anno possiamo recuperare il 70% degli interventi rimandati – suggerisce – Mancherebbe un 30% che si può smaltire nel 2023 se riprendiamo a regime e non ci sono ulteriori problemi”.