Cosenza – A Muscat, la capitale del sultanato dell’Oman, vive e opera un po’ di Calabria. E anche di valore. Raffaella Murdolo, musicista di Cosenza, lavora per la Royal Opera House di Muscat, ricoprendo il ruolo di Artistic programming manager & supervisor of educational and outreach department in un paese da fiaba.
“Vivo nel Sultanato dell’Oman – dice all’AGI – da cinque anni e il mio ruolo, mutuato dal modello teatrale anglosassone, risponde direttamente alla Direzione generale e ha come principale attività le negoziazioni contrattuali con gli artisti ospiti e il coordinamento dei vari adempimenti”.
Raffaella è orgogliosa del suo ruolo, un traguardo davvero prestigioso raggiunto.
“La Royal Opera House è prevalentemente un Performing Art Center che ospita grandi star, compagnie e artisti provenienti da tutto il mondo – racconta Raffaella – in un cartellone che tocca tutti i generi: opera, sinfonica, jazz, musical e world music. Il mio è un ruolo di mediazione e di coordinamento, che mi mette in relazione con tutte le eccellenze artistiche mondiali”.
Si è diplomata come pianista nel 2001 con il massimo dei voti al Conservatorio “Stanislao Giacomantonio” di Cosenza. Nel 2003 ha vinto la selezione indetta dal Conservatorio di Cosenza quale migliore solista con l’orchestra e nel 2005 ha conseguito con lode il diploma in Musica Vocale da Camera. Si è poi perfezionata nella Scuola Superiore Internazionale di Musica da Camera del Trio di Trieste, istituita dal Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico. Nel marzo 2007 la laurea con lode in Dams, indirizzo Musica, all’Università della Calabria, poi le collaborazioni con fondazioni liriche sinfoniche, teatri di tradizione e festival.
“Ho iniziato a lavorare – dice – per la Fondazione Arena di Verona nel 2011, dove ho avuto modo di conoscere Umberto Fanni, allora direttore artistico della Fondazione Arena e oggi General Director della Royal Opera House di Muscat. Dal 2011 – racconta Raffaella – è iniziata poi una collaborazione continuativa che mi ha portato a lavorare con lui per il Teatro Grande di Brescia e poi in Oman, dove l’ho seguito nel grande progetto di lancio della Royal Opera House”.
Ma i legami con la “sua” Cosenza sono ancora forti. “La Calabria è casa mia, nel senso che è in Calabria che ritrovo la mia famiglia e i miei più cari amici d’infanzia e di studi. Da quando ho iniziato il percorso bocconiano e poi quello professionale – dice Raffaella – non ho più avuto modo di collaborare con le istituzioni calabresi. Ma quando rientro, e ho modo di passare del tempo a casa, ho purtroppo spesso la sensazione di una “terra madre” più incline a riconoscere e a valorizzare i percorsi professionali di persone che vengono da fuori che non dei propri figli naturali”.
C’è l’amarezza di chi ha dovuto lasciare la sua terra per trovare la propria realizzazione professionale, ma resta l’orgoglio dell’italianità e della calabresità.
“Dopo oltre dieci anni di professione fuori casa, devo riconoscere che il master conseguito alla Bocconi – dice ancora Raffaella – ha aperto le porte ad istituzioni di prestigio ed esperienze professionali fondamentali. Ma la mia formazione accademica la debbo totalmente alla scuola calabrese: il Conservatorio Giacomantonio in primis e poi l’Università della Calabria. Guardandomi indietro, non cambierei nulla del mio percorso di studi, anzi: è ciò che mi ha reso subito pronta, ricettiva e preparata per tutto ciò che ho intrapreso dopo”.
Oggi neanche in quella parte di mondo mancano, purtroppo, gli effetti nefasti della pandemia.
“Anche la nostra programmazione, come del resto in tutto il mondo – dice – è attualmente sospesa e potremo riprendere solo quando si avranno condizioni di totale sicurezza. Anche per noi è fondamentale che il mondo guarisca, per tornare a viaggiare e a stare insieme senza restrizioni e timori. Dobbiamo ancora avere tanta pazienza e cercare di metabolizzare l’impatto di questo evento epocale che non solo penalizza il settore nel presente ma che credo modificherà, in buona parte, il ruolo sociale del teatro e le modalità con cui andremo a svolgere il nostro mestiere”.
Raffaella ha tanti amici italiani in Oman, e li frequenta dopo il lavoro. Ma ha anche tanti amici di altre nazionalità: libanesi, turchi, indiani e europei, ovviamente. “Prima – racconta – per me l’Oman era una “free zone” dove entravo in contatto con le più grandi star di tutto il mondo, in una dimensione mai stressante ma incredibilmente intensa. E con la stessa intensità, vivevo il mio giorno di riposo (di solito il venerdi): un riposo “vero” dove quiete, la pace che rende tutto rarefatto, atemporale se non per la scansione del Muezzin, ti consente un’astrazione totale dal mondo umano e ti connette fortemente con la natura, ancora incontaminata e accessibile in tutta la sua purezza”.
Con la pandemia, e con l’interruzione della stagione teatrale il ritmo delle giornate è cambiato molto, – afferma Raffaella – così come l’opportunità degli scambi interculturali, praticamente azzerati con la chiusura degli areoporti. Allora, questa immersione nella natura omanita è diventata vita quotidiana e non più il lusso di un giorno a settimana”.
L’Oman è uno degli stati arabi più emancipati, ma i parenti di Raffaella come hanno preso questo trasferimento?
“Erano disorientati, increduli e in principio non sereni – dice – perché prevaleva un’idea del “mondo arabo” generica, approssimativa, dove è facile confondere le geografie e la storia dei popoli. Poi è stato tutto molto più semplice: prima della pandemia tornavo in Italia ogni due o tre mesi con grande facilità, visto che c’erano due voli giornalieri diretti su Milano e tantissimi su Roma, come per le maggiori capitali. E così che i miei genitori sono venuti a trovarmi e hanno toccato con mano quanto sia alta la qualità della vita in termini di sicurezza, serenità e stimoli. Oltre alla bellezza dei paesaggi che non finiscono mai di incantare. Non ho ancora incontrato nessuno che venendo in Oman non abbia espresso il desiderio di voler tornare ancora qui”.
Sono tantissime, spiega poi, “le donne in carriera che ricoprono posti di lavoro apicali e sono di tutte le nazionalità, tante italiane, omanite comprese, impegnate nel Governo, nel management e in tutti i settori dello sviluppo. L’Oman è un paese giovane – precisa Raffaella – ha 50 anni, ed ha investito tanto nell’expertise degli espatriati, offrendo delle opportunità uniche per tanti aspetti. Sarò sempre grata e debitrice a questo Paese per l’enorme chance che mi ha offerto e la fiducia riposta in me. E so che questo è un pensiero condiviso da molti”.
Ma qual è la cosa più bella che è capitata a Raffaella sul lavoro? “Posso dire – confida Raffaella – che la cosa più complessa è stata quella di lavorare con colleghi di culture e formazioni diverse. Una palestra che ti mette in discussione su tutto, sposta le prospettive e scopri pian piano che la “lingua” non è sufficiente per capirsi e non è un mezzo universale. Ho fatto tanti incontri “speciali”, con tante star: Franco Zeffirelli, Placido Domingo, Valery Gergiev, Myung – Whun Chung, Roberto Alagna, Anna Netrebko, Vittorio Grigolo, Zucchero, Diana Krall, Chick Corea… per citarne solo alcuni”. Il più intrigante? “Quello con Sonja Frisell – è la risposta – regista e storica, assistente di Jean-Pierre Ponnelle. Energia contagiosa, personalità e senso del teatro che lasciano il segno”.
Raffaella si sente oggi pienamente appagata per le scelte fatte. “Ho già realizzato il mio sogno lavorando per il teatro. Il mio lavoro, ciò che faccio e di cui mi circondo, è esattamente il sogno che volevo realizzare e che voglio ancora vivere appieno. Il prossimo… lo sto ancora pensando. Certo – conclude – è che mi piacerebbe un giorno poter restituire all’Italia e alla mia terra quello che ho imparato in questi anni”.