Barbara ha il cuore a pezzi. Il cuore frantumatosi improvvisamente, il 30 maggio scorso, quando sua figlia Denise Galatá scompare, inghiottita dal fiume Lao mentre fa rafting in gita scolastica a Laino Borgo, per poi essere ritrovata il giorno dopo. Morta. Barbara e il marito Michele, il figlio più grande Domenico chiedono verità e giustizia per questa tragedia che ha colpito la loro famiglia. «Ho accompagnato mia figlia all’autobus quella mattina ed è tornata a casa morta», racconta tra le lacrime la mamma.
Nel soggiorno della loro casa a Rizziconi, piccola cittadina della provincia di Reggio Calabria, un piccolo altarino dedicato alla loro amata Denise che, a ottobre dello scorso anno, aveva festeggiato 18 anni. Una gigantografia della sua foto, un’altra in primo piano in una piccola cornice, una statuetta della Madonna. Ogni settimana nella casa di questa gente semplice e ospitale si recita il Rosario. Il dolore composto e dignitoso di una famiglia che non può darsi pace per questo vuoto incolmabile.
«A volte mi manca davvero il respiro», dice Barbara che non si arrenderà. Il suo obiettivo è quello di capire cosa è successo alla sua Denise e di chi sono esattamente le responsabilità.
«Lotterò fino a quando non conoscerò la verità». Il suo pensiero va anche a un’altra giovane donna, la 24enne Ilaria Malerba di Terlizzi, che, nel 2008, perse la vita in circostanze analoghe e sempre nello stesso posto.
«Da quando ho perso mia figlia, sono in contatto con la famiglia di Ilaria. È un modo per stare vicini in questo dolore che ci è arrivato così all’improvviso, senza rendercene conto, e che è lo stesso».
Un legame che corre sull’asse Puglia-Calabria. Presto questa distanza si accorcerà e queste due famiglie si incontreranno e si abbracceranno.
Barbara, a distanza di un mese, cosa le fa più male oggi?
«Non sapere. Come è potuto succedere? Come? I compagni di Denise mi hanno raccontato che per due volte è caduta in acqua e alla terza poi è scomparsa. Era spaventata, bianca come un cencio. Piangeva. Me lo hanno raccontato i suoi compagni. Nessuno si è preoccupato di aiutarla, di cercarla. E poi il suo caschetto le andava largo. Lo aveva detto subito alle guide, ma non se ne sono preoccupate. Tutti hanno vissuto l’inferno. Poteva essere una strage. I responsabili della morte di Denise devono pagare».
Lei era a conoscenza di questa escursione?
«Sì, ma non avevo ben compreso quale era il programma di quei giorni. La scuola non ha mai fatto firmare alcuna documentazione. E Denise mi aveva parlato del ponte tibetano. Le avevo chiesto cosa fosse, se era sicuro. È incredibile, ma avevo tanta paura di quello. E invece…».
Chi le ha detto, il 30 maggio, che Denise era caduta in acqua ed era dispersa?
«Quel giorno ci eravamo scambiate il buongiorno con un messaggio. Poi avevo pensato di chiamare mia figlia nel corso della giornata, non sapendo quali erano i programmi della giornata. Ho cominciato a telefonarle nella tarda mattinata, ma non ho ricevuto risposta. Mai. Nel tardo pomeriggio mi ha telefonato la mamma di una sua amica che aveva lo stesso problema e poi sono arrivati a casa i carabinieri. Ho capito subito. Mi sono agitata. Ho pensato subito che fosse morta, ma la cercavano e io ho aspettato e sperato che mi arrivasse la chiamata. “Abbiamo trovato Denise, è viva”. E non è stato così».
Lei ha sentito la preside e i docenti?
«Mai. Nessuno si è fatto vivo con noi. Il giorno in cui Denise era dispersa, mio marito e mio figlio hanno incontrato la preside in caserma. Loro non la conoscevano, ma lei non si è avvicinata, non si è presentata. Non ha detto una parola. Hanno scoperto dopo chi fosse. Possibile che mia figlia, una sua studentessa, sia sparita così dopo essere caduta dal gommone e lei non abbia avuto nemmeno una parola di conforto? Come è tornata subito a casa quel giorno? Come guarda in faccia i suoi figli? Non si è preoccupata della sorte di Denise? Lei almeno i suoi li ha riabbracciati, io mia figlia non posso più abbracciarla».
Barbara, lei non mai andata sul posto in cui Denise ha perso la vita. Non il giorno delle ricerche né il momento del ritrovamento. Neppure quando è stata eseguita l’autopsia.
«No mai. Non volevo vederla. Volevo ricordarla così com’era, la mia Denise. Pregavo. Pregavo e speravo».
Com’era?
«Dolce, socievole, allegra. Piena di vita. A ottobre, per i suoi 18 anni, aveva organizzato completamente sola la sua festa. Ne era orgogliosa e anche io. Voleva studiare medicina. Tanti sogni, tanti progetti».
Dove trova la forza di andare avanti?
«Non è facile. Mi guardo intorno e sono circondata dai ricordi. Mi manca tanto. Mi manca. Vorrei sapere che gita d’istruzione era quella in cui mia figlia è morta. Voglio saperlo e voglio giustizia. E voglio che non accada mai più».
(Fonte: lagazzettadelmezzogiorno.it)