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sabato, 16 Novembre, 2024
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E’ il calabrese Alfonso Pantisano il primo commissario queer a Berlino: “Un mondo migliore per ogni bimbo lgbt+”

«Se uno dei miei figli dovesse diventare frocio, mi butto sotto una macchina», confessò un giorno sua madre. «Vissi quelle parole un po’ come un ricatto, un po’ come una minaccia. Ero terrorizzato che potesse togliersi la vita per colpa mia». Alfonso Pantisano, 48 anni, è il primo commissario queer della capitale tedesca ed è fiero di raccontarlo a La Stampa. «Sono nato a Waiblingen, in Germania, da genitori calabresi. Sono cresciuto con tre fratelli. Durante la mia infanzia, ho frequentato le scuole elementari sia a Trento, in un collegio sul Monte Bondone, che in Calabria, a Cariati Marina, il paese di origine dei miei genitori. Successivamente, siamo tornati in Germania, stabilendoci a Stoccarda.
Cosa ricorda della sua adolescenza?
«Da quando ho memoria, avrò avuto cinque o sei anni, la gente continuava a dire che ero troppo sensibile per essere un ragazzo. “Non puoi dire nulla al ragazzo o inizia subito a piangere. Peggio di una ragazza!”. Mi domando ancora oggi perché i miei genitori non mi abbiano protetto, perché non mi abbiano detto che andavo bene così com’ero. Sebbene avessero lasciato il loro villaggio di pescatori nel 1966 e si fossero trasferiti a Stoccarda per lavoro, erano ancora intrappolati nella mentalità dei loro antenati. Erano influenzati dalla Chiesa ma non penso che abbiano mai letto la Bibbia, nonostante fossero stati per anni dei rilegatori e avessero spesso stampato Bibbie in tutte le lingue».
Quindi era completamente solo?
«E completamente insicuro. “Cosa penserà la gente?” era il mostro che dovevo sconfiggere. Ricordo la paura di essere riconosciuto, la preoccupazione di portare un disastro alla nostra famiglia, il panico di essere responsabile di tutto. Questi pensieri hanno incatenato la mia adolescenza. Volevo solo provare come ci si sente a essere me stesso. E stare con altri che erano come me. Per alcuni anni il Kings Club, un locale gay oggi chiuso, è stato la mia casa perché lì potevo essere chi ero veramente».
Com’è stato il suo coming out?
«Quando ho rivelato ai miei genitori di amare ragazzi, sono stato cacciato di casa. Avevo 19 anni quando mi sono ritrovato senza un tetto sulla testa. Ho passato due settimane dormendo sul pavimento della stazione centrale di Düsseldorf. Tuttavia, anche senza un diploma, pian piano ho iniziato a ricostruire la mia vita».
Come si è sostenuto in quegli anni?
«Svolgendo diversi lavori. Ho fatto il cameriere in un locale gay e in vari ristoranti, sono stato fotografo, modello, ballerino, coreografo, presentatore di eventi internazionali. Ho anche lavorato in diverse aziende, occupandomi di marketing e vendite, fino a dirigere una squadra di venti dipendenti. Nel 2013, insieme ad altri, ho fondato il movimento “Enough is Enought” (“Ne abbiamo avuto abbastanza”), dopo l’approvazione della legge russa contro la “propaganda gay” firmata da Vladimir Putin. Da allora ho dedicato il mio tempo libero all’attivismo».

Come si è guadagnato il ruolo di commissario queer di Berlino?
«Nel 2017 sono entrato a far parte del Partito dei Social-Democratici in Germania (SPD) e attualmente ricopro il ruolo di presidente della sezione lgbtq+ del partito, che si chiama SPDqueer Berlino. Nel 2019 sono entrato a far parte della direzione federale dell’Associazione lesbica e gay. Nel 2022 sono stato segretario di Iris Spranger, ministra degli Interni di Berlino,e nel 2023 segretario personale di Saskia Esken, presidente dei Social-Democratici».
Oggi si assume la responsabilità di rendere la vita migliore a migliaia di cittadini lgbtq+ tedeschi. Innanzitutto, quanti sono?
«Non li contiamo per evitare di evocare liste speciali. Nella Germania nazista eravamo perseguitati. Il paragrafo 175 del codice penale criminalizzava le relazioni sessuali tra uomini. Chi veniva accusato di omosessualità era spesso imprigionato e inviato nei campi di concentramento, dove era soggetto a violenze, abusi e omicidi. Il paragrafo 175 fu abolito nel 1994. Ad ogni modo, nella regione di Berlino si contano quattro milioni di persone. Considerata una stima prudente del 15%, stiamo parlando di circa 600 mila cittadini lgbtq+».
Il ruolo di commissario queer è il primo incarico di questo tipo in Germania?
«Dal 2021 abbiamo, grazie al governo del cancelliere Olaf Scholz, un Commissario del governo federale per l’accoglienza delle differenze sessuali di genere. Si chiama Sven Lehmann e svolge questo ruolo in aggiunta a quello parlamentare, in quanto lavora già al Ministero federale occupandosi di famiglia, anziani, donne e giovani. C’è un ruolo analogo nella regione Renania-Palatinato, svolto dal mese di maggio da Janosch Littig, e ci sono commissari queer in alcune città».
Quali obiettivi avrà il suo mandato?
«Il mio obiettivo è di consolidare Berlino come la capitale arcobaleno, una casa e un luogo di speranza per decine di migliaia di persone queer, che devono ancora affrontare svantaggi sociali e personali a causa di discriminazioni. Un elemento chiave del mio lavoro sarà la protezione delle persone queer dalla violenza e dal rifiuto, che purtroppo continuano a sperimentare quotidianamente sia negli spazi pubblici che in quelli privati, persino nel 2023 e anche qui a Berlino. La situazione di molti bambini queer può essere ancora oggi così desolante che, purtroppo, l’unica opzione per loro è spesso il suicidio. Cercherò di rendere Berlino un posto migliore anche per loro».

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Tenuta delle Grazie 13_6_2024

Come ha intenzione di farlo?
«l mio primo impegno sarà quello di dare voce alle preoccupazioni della comunità LGBTQ+. Allo stesso tempo, mi impegnerò a guidare lo sviluppo, l’orientamento e l’attuazione dei progetti pilota in conformità alle linee guida del governo per il periodo 2023-2026. Tra i miei compiti ci sarà anche la rappresentanza a livello statale e federale, collaborando con il rappresentante queer del governo nazionale. Mi dedicherò alla promozione di nuovi progetti intersezionali e fornirò un maggiore sostegno a quelli già esistenti, soprattutto a quelli di dimensioni più contenute. Inoltre, considerando che il movimento per i diritti delle persone omosessuali ha avuto origine a Berlino, auspico che il 14 maggio diventi una giornata nazionale dedicata a Magnus Hirschfeld, come segno di riconoscimento e gratitudine».
Quante persone lavoreranno nell’ufficio lgbtq+ e quali saranno i primi interventi?
«All’inizio saremo un team composto da tre persone. Sono profondamente preoccupato per l’ascesa dei movimenti populisti e dell’estrema destra in Germania, poiché stiamo assistendo a questo fenomeno non solo in Europa, ma anche in altre parti del mondo. La minaccia che tutte le conquiste democratiche ottenute con tanta fatica negli ultimi decenni vengano nuovamente messe in discussione è estremamente reale. Di conseguenza, dobbiamo intensificare gli sforzi educativi e intraprendere azioni concrete per contrastare questo fenomeno. In particolare, è fondamentale affrontare il problema dei crimini d’odio contro le persone omosessuali che si verificano a Berlino».
C’è un’emergenza violenza a Berlino contro la comunità lgbtq+?
«Statisticamente, ogni giorno nella mia città due persone vengono aggredite in spazi pubblici. Queste aggressioni possono includere insulti pesanti, sputi per strada o veri e propri atti di violenza fisica. In alcuni casi, le conseguenze sono così gravi da richiedere interventi chirurgici d’urgenza e lasciare cicatrici fisiche e danni psicologici duraturi. Pertanto, quando alcune persone eterosessuali si chiedono perché non esiste un Pride dedicato a loro, dovremmo invece chiedere loro quando è stata l’ultima volta che hanno affrontato le stesse difficoltà che le persone della mia comunità devono affrontare regolarmente per strada. Quando due persone eterosessuali camminano mano nella mano per le strade, pensano all’amore. Ma quando due uomini o due donne queer lo fanno, il loro primo pensiero è spesso la paura. Questa realtà mi riempie di tristezza e mi chiedo: quando avrà fine? Non smetterò, insieme ad altri, di dare il massimo finché non avrò una risposta a questa domanda».
Pasquale Quaranta
(lastampa.it)

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