Un “massacro mediatico” nei suoi confronti contro il quale ha scritto a istituzioni e giornali non “per avvelenare i pozzi” ma per raccontare una “verità ineludibile”. A dirlo, in videocollegamento, è stato l’avvocato ed ex parlamentare Giancarlo Pittelli nel corso di dichiarazioni spontanee, le prime, “non brevi e ultime”, nel corso dell’udienza del processo Rinascita Scott in cui è imputato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Pittelli ha detto di non essere un folle e un visionario e che le sue parole “saranno pietre in questo processo”. Si è difeso dalle accuse, secondo le quali, ha detto, “avrei pervertito la mia intera vita, avrei insozzato la toga di mio padre e di mio nonno per interessi di mafia”. Pittelli ha anche parlato della lettera scritta alla ministra Mara Carfagna, motivo per il quale gli sono stati revocati i domiciliari ed è stato portato nel carcere di Melfi. Ho scritto, ha detto, perché dal 19 dicembre 2019 – il giorno del maxi blitz e dell’arresto – “io esisto nei servizi giornalistici che hanno trattato anche argomenti di gossip sulla mia vita privata. Si è fatto strame della mia vita, della mia famiglia, di 40 anni di attività professionale. Una campagna di stampa senza precedenti nella storia di questa regione. Mi è stata tolta la pelle, sono un uomo per bene e onesto”. Ed ha aggiunto che sono stati messi nero su bianco fatti storicamente falsi. “Di tutto ciò – ha aggiunto – avrebbe dovuto occuparsi il Parlamento quando Sgarbi nell’estate del 2020 mi venne a trovare nel carcere di Nuoro insieme ad altri deputati”.
“A me la Massoneria non ha dato mai nulla, né incarichi professionali da enti pubblici regionali, provinciali o comunali”. A dirlo è stato l’avvocato ed ex parlamentare Giancarlo Pittelli nelle sue lunghe dichiarazioni spontanee al processo Rinascita Scott in cui è imputato per per concorso esterno in associazione mafiosa. Pittelli ha raccontato di essersi iscritto alla Massoneria nel 1983 quando l’avvocato cosentino Ernesto D’Ippolito gli propose di candidarsi al Parlamento nel Partito liberale e di iscriversi nella sua loggia. Pittelli ha detto di avere rinunciato a uno scranno sicuro e di avere deciso di iscriversi alla loggia nella quale erano presenti “medici, avvocati, funzionari, professori universitari” ma, ha aggiunto, le attività e gli argomenti trattati in massoneria “non era cosa per me interessante”. Comunque si fece trasferire alla loggia di Catanzaro ma per lui le riunioni erano “una perdita di tempo”. “Nel 1991 mi fu proposto da Forza Italia di candidarmi alla presidenza della Regione Calabria e io rifiutai e indicai Chiaravalloti” ha poi aggiunto specificando che “all’epoca in cui facevo il politico non ero iscritto alla Massoneria. A me la Massoneria non ha dato mai nulla”. L’ex parlamentare ha anche raccontato come nasce, a suo avviso, il termine massomafia. Un termine che a suo dire è stato coniato nel 2007 in seguito agli scontri, giudiziari e non, avuti con l’ex pm di Catanzaro Luigi de Magistris. Scontri che, tra l’altro, portarono a un processo a Salerno durato 12 anni quando a De Magistris venne tolta l’inchiesta Poseidone. Secondo Pittelli fu de Magistris nel 2007 a coniare il termine massomafia per indicare una borghesia corrotta e i cosiddetti poteri forti. Argomenti che l’ex pm, poi divenuto politico, ha portato sui giornali e nelle trasmissioni televisive. Con questi argomenti, ha detto Pittelli, “de Magistris si è fatto quattro campagne elettorali. Ecco dove nasce il mito di Pittelli massomafioso capace di aggiustare i processi”. Per Pittelli è qui che i pentiti lo hanno sentito e lo hanno poi riportato nelle loro dichiarazioni. “E’ da vergognarsi sentire le parole dei vari Virgiglio e Mantella (due collaboratori di giustizia, ndr)”, ha detto Pittelli che ha aggiunto: “Io non sono mai entrato nella stanza di un magistrato se non per un saluto o una richiesta più che lecita”. Poi, riferendosi a quei magistrati
intercettato a cena a casa sua ha detto: “andate a guardare di cosa abbiamo parlato, citateli tutti, uno per uno”. Pittelli ha poi riferito di essersi iscritto di nuovo alla Massoneria del Grande Oriente d’Italia 27 anni dopo esserne uscito, “su sollecitazione di un amico chirurgo di Soverato. Una sola volta – ha raccontato – mi sono rivolto a un vertice della Massoneria per una truffa subita a Ravenna”, una questione che il massone non risolse e che si concluse per altre vie. L’ex parlamentare ha anche sostenuto che nel periodo in cui era intercettato, sua figlia studiava alla Luiss e che mai ci sono state intercettazioni su richieste di raccomandazioni per lei, che i suoi cognati sono costruttori e in 40 anni non hanno mai partecipato a un appalto pubblico. E per quanto riguarda Mantella e le sue dichiarazioni contro di lui, ha definito il
collaboratore di giustizia “un furbo” che ha capito “che l’obbiettivo in questo processo ero io”. In merito ai rapporti con il presunto boss Luigi Mancuso, Pittelli ha detto di averlo difeso la prima volta nel 1981 e
fino al 2007. “Mai avuto con lui screzi di alcun genere – ha detto – mai ricevuto richieste illecite da parte sua”. Poi, per una incomprensione Mancuso gli revocò la nomina. I rapporti si riallacciano quindi nel 2016.
(Ansa)