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giovedì, 21 Novembre, 2024
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Era calabrese la prima poliziotta italiana: Morta a 98 anni Rosa Scafa

La Polizia di Stato piange l’ex ispettore capo Rosa Scafa, la prima donna ad indossare la divisa morta oggi all’età di 98 anni a Trieste. Nata a Vibo Valentia nel 1925, si era trasferita a Trieste quando aveva 22 anni. Scafa si era arruolata a 27 anni nella polizia assieme ad altre 22 colleghe, dopo un corso nel 1951, ed è rimasta in servizio 33 anni, fino al 1985.

Dal 1952 al 1985 aveva ha fatto parte della polizia civile di Trieste, della polizia femminile e, dal 1981 della polizia di Stato. Raggiunti i limiti di età nel 1985 fu “costretta” alla pensione, ma è sempre rimasta una poliziotta nell’animo, scrive sul sito la Polizia di Stato in un ricordo.
Quando Trieste era ancora amministrata dagli anglo-americani, lei decise di entrare nella Polizia femminile della città, con compiti di tutela e controllo dei minori e delle prostitute. Qualche anno fa confessò che lo fece per trovare un lavoro e fuggire dalla povertà nell’Italia del dopoguerra, ma subito si appassionò al suo lavoro e alla possibilità di dare aiuto ai tanti bambini e alle donne in difficoltà.

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Nel 1960, dopo qualche anno che Trieste era stata già riassegnata all’Italia, le fu offerta l’opportunità di transitare alla Polizia femminile dell’Amministrazione della pubblica sicurezza o di diventare un’impiegata civile, ma Rosa non dubitò e continuò ad indossare l’uniforme.
Nel corso della sua carriera, dopo essersi occupata di reati commessi o subiti da donne e minori, aveva lavorato al servizio speciale di assistenza ai dipendenti e ai loro familiari. Fu premiata nel 2010, durante la festa per i 158 anni della polizia, in occasione del 50esimo anniversario dell’ingresso delle donne in polizia. Molti cittadini ancora la ricordano per il suo impegno e per la sua umanità.

In un’intervista al Corriere della Sera di Roberta Scorranese che nel 2020 le chiedeva perché negli anni Cinquanta avesse scelto di diventare la prima donna poliziotto italiana, lei rispondeva così: «Perché avevo bisogno di lavorare. Ero la maggiore di otto fratelli, la guerra ci aveva portato via tutto, il lavoro non c’era. Manco come operaia mi volevano. E avevo pure il diploma di maestra. In Polizia ci sono entrata per necessità, ma poi mi sono innamorata di quel lavoro». La guerra aveva diviso la sua famiglia: il papà lavorava a Trieste, la madre e la nonna erano rimaste a Vibo Valentia. «Quando riuscimmo a raggiungere Trieste trovammo un disastro: papà senza lavoro, la casa che non c’era più». Rosa divenne vigilatrice estiva delle colonie della Croce Rossa. Ma nel 1951 c’erano i corsi per entrare nella polizia femminile del governo militare alleato. «Presentai la domanda appena in tempo, mi assegnarono alla Buoncostume per assistere i minori».

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