Sono passati 24 anni dalla notte tra il 12 e il 13 dicembre del 1995, quando il capitano della marina Natale De Grazia, l’uomo che stava indagando per conto della Procura di Reggio Calabria sulle “navi dei veleni”, venne trovato morto, a bordo dell’auto su cui viaggiava insieme ai due carabinieri che lo coadiuvavano nelle indagini, sull’autostrada Caserta – Salerno nei pressi dello svincolo di Mercato San Severino. I risultati dell’autopsia parlarono di un malore che avrebbe provocato un arresto cardio-circolatorio, tecnicamente viene definita “morte improvvisa dell’adulto”. Il caso fu archiviato di lì a breve. De Grazia ed il pool di Reggio Calabria coordinato dal pm Francesco Neri, stavano indagando sui traffici di rifiuti tossici via mare. Negli anni seguenti questi traffici vennero definiti come il fenomeno delle “navi a perdere”, imbarcazioni affondate nel Mar Mediterraneo cariche di rifiuti tossici. Nulla è mai stato chiarito sulle indagini che stava conducendo De Grazia e la sua morte è rimasta avvolta nel mistero per oltre 20 anni. Fanpage.it ha ripercorso tutte le indagini del capitano, incontrando i suoi più stretti collaboratori, le sue fonti e persone a lui vicine che in tutti questi anni non avevano mai parlato.
Le cause della morte: “Lo hanno sequestrato, torturato e ucciso”
De Grazia, come riferirono i due carabinieri che erano in auto con lui, avvertì un malore nel sonno mentre era in auto in viaggio intorno alla mezzanotte. La sua famiglia non ha mai creduto alla versione ufficiale della morte. Ce lo conferma suo cognato, Francesco Postorino, anche lui in marina e da sempre legatissimo al capitano. “Natale aveva un fisico da atleta – ci spiega – una persona non può morire così, tanto è vero che l’autopsia non parla di infarto, il suo cuore era sano”. La richiesta di archiviazione della Procura di Nocera Inferiore che indagò sulla morte di De Grazia, è firmata dal sostituto Procuratore Giancano Russo, parla di “morte naturale dell’adulto”. Dall’archivio della Camera dei Deputati che custodisce i documenti su cui indagò anche la commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie, abbiamo potuto vedere le immagini del cadavere di De Grazia. Un corpo martoriato. A confermarlo è lo stesso Postorino: “Quando ho visto il corpo sono rimasto scioccato, era quasi irriconoscibile, aveva il volto gonfio, il naso gonfio come se avesse preso una testata, era tutto pieno di lividi, come se qualcosa gli fosse esploso dentro. Sotto il costato, all’altezza dell’ascella aveva una ferita a forma di triangolo, sembravano bruciature fatte con un ferro incandescente, una cosa strana. Il dubbio che mi viene è che potessero essere dei segnali di tortura”.
La sera della morte, De Grazia si trovava in missione, la sua ultima tappa prima di morire fu al ristorante “Da Mario” a Campagna in provincia di Salerno, dove i suoi due accompagnatori hanno raccontato che si erano fermati a cena. In 24 anni nessun magistrato e nessun inquirente ha mai ascoltato il gestore del ristorante, praticamente l’ultima persona, oltre ai due carabinieri che accompagnavano il capitano, ad averlo visto in vita. “Io conservo ancora le ricevute di quella sera” ci dice il titolare del ristorante ora non più attivo e ce le mostra, conservate in un cassetto di un mobile di casa sua, ancora sul blocchetto di quel 12 dicembre 1995. “Mai nessuno è venuto per chiedermi nulla – ci spiega – io non sapevo nemmeno chi era De Grazia, lo appresi dalla televisione solo molti anni dopo”. Quel ristorante però era un luogo molto frequentato da uomini dello Stato, come ci spiega il titolare: “Qualcuno li aveva mandati a questo indirizzo, noi in quegli anni lavoravamo molto con i magistrati, i carabinieri, la polizia, la guardia di finanza, con questa gente qua”.
Nei giorni precedenti alla sua morte, Natale De Grazia era molto preoccupato e aveva confidato a suo cognato che qualcuno a lui vicino stava facendo il doppio gioco: “L’8 dicembre andai a casa sua e lo vidi molto turbato – racconta Francesco Postorino – mi disse che aveva scoperto che qualcuno del pool passava informazioni ai servizi segreti deviati”. Tre giorni dopo l’11 dicembre 1995, il SISMI comunica alla presidenza del consiglio gli oneri sostenuti in quell’anno per le attività di stoccaggio dei rifiuti nucleari e del traffico di armi, una cifra di circa mezzo miliardo di vecchie lire. Il documento non aggiunge altro, nessuna specifica sulle attività svolte.
La tesi avanzata dal cognato trova conferma anche in una delle fonti di De Grazia che abbiamo ascoltato, si tratta di un uomo che in quegli anni conduceva le indagini insieme al capitano e di cui abbiamo deciso di tutelare l’identità. “Io ipotizzo – ci dice la fonte esclusiva – che si sia fatto accompagnare ad un appuntamento, lo abbiano sequestrato e torturato, perché volevano sapere cosa sapeva e cosa non sapeva, ma a parlare Natale non parlava, era un militare attrezzato per la tortura. Lo abbiano poi ucciso e lo abbiano fatto ritrovare sull’autostrada in un punto proficuo”. Si tratta della piazzola di sosta dell’autostrada Caserta – Salerno, dove i due carabinieri hanno dichiarato di essersi fermati quando si sono accorti del malore del capitano che dormiva sul sedile anteriore. Proprio quella piazzola è facilmente raggiungibile da una strada di campagna parallela all’autostrada nel Comune di Mercato San Severino.
Le fonti del capitano: “Abbiamo trovato uranio nei container”
Ma quali erano le informazioni che stavano trapelando ed arrivavano ai servizi segreti deviati? A raccontarci tutto sono le fonti e i collaboratori del capitano. De Grazia durante la sua ultima missione doveva incontrare un ex membro dei servizi segreti italiani che stava collaborando nelle indagini sui traffici di rifiuti pericolosi in Italia. Dopo mesi di trattative ha deciso di incontrarci in una località segreta. “De Grazia lo hanno ammazzato quando doveva venire da me lo sapete? – ci dice subito – De Grazia sapeva che io non c’entrano niente con le navi che andavano giù nel basso Tirreno. Io gli ho dato l’esatto posizionamento dell’affondamento di una nave, la Rigel, perché lo avevo saputo a mia volta da altri”.
La Rigel era una delle navi dei veleni su cui De Grazia stava indagando. “Gli inquirenti hanno mandato giù il maialetto subacqueo sulle coordinate che avevo dato io a De Grazia – spiega – la prima volta si è rotto, la seconda volta c’era mare grosso e non poteva immergersi, la terza volta lo hanno mandato e poi non lo hanno mai più fatto immergere, perché quando è andato giù hanno visto che c’era e doveva rimanere lì. Io le coordinate non ce l’ho più, è qualcosa di cui mi sono liberato e non ho più voluto saper nulla dopo la morte di De Grazia”. Il relitto della Rigel non è mai stato ritrovato, ma nel 2009 un fotografo esperto di robot subacquei scatta una foto per caso, si tratta di un relitto adagiato sul fondo del Mar Ionio, in tutto e per tutto uguale alla Rigel. Quella immagine verrà poi diffusa da Legambiente è diventerà il simbolo della campagna di mobilitazione per chiedere la verità sulle navi dei veleni. “De Grazia – prosegue l’ex 007 che collaborava con il capitano – non doveva andare a indagare sulle navi, lui aveva già capito qual era l’iter e dove portava ed a chi portava. Questo però non ve lo so dire perché non me lo disse. In Italia se tu dai noi ti levano da mezzo, con un omicidio, un finto incidente, un finto suicidio, in ogni modo, ed a farlo sono alcuni reparti dei servizi segreti che compiono operazioni sotto copertura”. Ma non c’era solo la Rigel, De Grazia aveva scoperto un vero e proprio traffico di materiali nucleari via mare, a confermarlo a Fanpage.it è un uomo, si tratta del tecnico che per conto di De Grazia e del pool di Reggio Calabria fece i rilievi di radioattività su alcuni container persi da una nave nel Mar Tirreno e spiaggiati nei pressi di Salerno nel 1994. Fino ad oggi non aveva mai parlato di quella circostanza. “Il problema è che cazzo ho trovato. Rifiuti? Rifiuti nucleari? Io ho trovato uranio – ci dice quando dopo averlo cercato per mesi riusciamo a rintracciarlo – quest’uranio stava là e non aveva nessun nesso con l’insieme. Io affermo in tutta scienza e coscienza che quei container hanno attraversato una zona contaminata da uranio”. Le navi dunque venivano usate per trasportare materiali nucleari che erano riutilizzabili anche a fini bellici. “De Grazia aveva capito – spiega la fonte – aveva mangiato la foglia e quindi doveva essere fermato in quel momento”. “Il materiale nucleare si muove solo se Stati lo consentono – ci dice il tecnico – quindi sono discorsi che possiamo fare solo se avete una copertura alla spalle. Lo Stato italiano vi protegge? No? Siete morti”.
Le indagini: “Russi e americani si scambiavano scorie nucleari in Italia”
Ma è proprio l’investigatore vicino a De Grazia a spiegarci a che punto erano arrivate le indagini: “Noi avevamo due ipotesi sulle navi, quella dell’affondamento e quella del non affondamento che ci preoccupava molto di più”. Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 gli arsenali dei paesi comunisti vennero messi sul mercato nero, armi e materiale nucleare venivano venduti come al supermercato. Le stesse scorie radioattive se riprocessate potevano essere riutilizzate a fini bellici. “Quello che cambia tutto – ci dice la fonte – è quando De Grazia a Genova trova le fatture della nave “Americana”, una nave usata dall’esercito degli Stati Uniti. Con quelle fatture che dimostravano cosa trasportava, il capitano De Grazia sarebbe andato a sequestrare la centrale nucleare di Bosco Marengo, in provincia di Alessandria. Quella era la meta dell’ultima missione di De Grazia, sequestrare la centrale di Bosco Marengo. Dentro c’erano 800 kg di polveri di uranio pronte a diventare combustibile nucleare, arrivava dall’America, da Norfolk e lo aveva trasportato la nave “Americana”, dopo essere stato riprocessato andava in Lettonia e in Russia, in pratica gli americani e i russi si scambiavano le carte in Italia”. Secondo questa fonte quindi, se non fosse morto in circostanze misteriose, Natale De Grazia avrebbe sequestrato la centrale nucleare di Bosco Marengo e avrebbe svelato un traffico clandestino di materiali nucleari tra Stati. Il referendum che vietava le attività delle centrali nucleari in Italia era passato da un pezzo: “Per questo avremmo sequestrato la centrale, non per il materiale ma per i riprocessatori, questa credo che sia stata la causa scatenante di tutto”. Come fare quindi a riaccendere i riflettori su quello che De Grazia e i suoi uomini avevano scoperto? “Io non ho più i documenti, anche per scelta un po’ vigliacca di rimanere in vita, mi sono liberato di tutto. Se mi dicono che mi ammazzano mia figlia io non parlo più, l’ultima minaccia me l’hanno fatta due anni fa a vent’anni di distanza dai fatti. La verità è che nessuno vuole che questa indagine sia riaperta”.
Barillà: “Fare luce è un dovere dello Stato”
“E’ chiaro che un traffico che riguardava apparati, strumentazioni e tecnologie militari non poteva avvenire senza l’interesse dello Stato – sottolinea Nuccio Barillà tra i padri fondatori di Legambiente in Italia – e allora resta da capire il ruolo che hanno avuto i servizi segreti italiani in tutta questa storia”. Barillà era legato a Natale De Grazia da una profonda amicizia, entrambi di Reggio Calabria si conoscevano già da giovanissimi. “L’ho conosciuto da ragazzo – ricorda – per la nostra associazione è poi diventato un punto di riferimento per ogni denuncia o segnalazione, ci metteva impegno e determinazione e dimostrava di avere un valore aggiunto che era il suo amore smisurato per il mare”. Le indagini della magistratura e quella della commissione d’inchiesta parlamentare sulle ecomafie non hanno chiarito i motivi della morte del capitano De Grazia, le sue indagini sono finite in un porto delle nebbie e tutti quelli che avevano fatto parte del pool hanno preso altre strade. “Non si sa chi sono i mandanti e non si sa chi sono gli esecutori – dice Barillà – non si sa cosa sia realmente accaduto quella notte di 24 anni fa e mille misteri continuano ad esserci. E’ un dovere dello Stato cercare questa verità”.
Antonio Musella
(Fanpage.it)