Il patriarcato c’era e c’è. C’era anche quando il gender neanche si immaginava pubblicamente, c’era anche quando le famiglie stavano unite per forza perché il divorzio non era ancora legge, c’era anche quando al femminicidio non avevamo dato un sostantivo e una sostanza di denuncia culturale. Il patriarcato nel 1966 c’era e ammazzò Rita C., 22 anni, giovane sposa in Calabria. Una ragazza bella, una ragazza del 1966, di un’Italia che si apriva alla modernità, il boom che non era sempre emancipazione ma alle donne già le portava verso la libertà. Non c’era solo la casa, i figli, si poteva pretendere di più. Anche lavorare e mettersi la minigonna. Si poteva dire no al marito. Rita disse no.
Ad una cosa che ora può sembrare banale ma non lo era lì in quel tempo, 1966, in quel luogo un paese della Calabria, ma poteva essere del Veneto come tragicamente ora. “Dobbiamo andare da mia madre”, le intimò il marito sapendo quella famiglia e quella donna le erano ostili. Rita disse no, ogni volta, ogni domenica, ogni festa. Finché lui il marito, che già da fidanzato la seguiva ovunque, persino alla processione che era la poca socialità per una 18enne di provincia nel ’66, a quei no che erano già libertà decise che bisognava rispondere come patriarcato voleva: tre colpi di pistola in testa.
Aveva solo 22 anni, voglia di libertà e tra i suoi pochi vezzi un paio di orecchini di perle. Li aveva regalati alla cugina di città alla quale chiedeva tutte le “novità”, bigodini, creme, trucchi, collant.
Di Rita, ammazzata di femminicidio nel 1966 quando neanche esisteva questa parola e le donne morivano nel silenzio e anche un po’ di colpevole omertà, restano questi orecchini che ora ci dicono che il patriarcato c’era e c’è. Questa giornata è allora anche per le donne morte quando neanche si sapeva cosa le ammazzava. Per Rita, per Giulia e per nessuna più.
(Ansa)