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domenica, 26 Gennaio, 2025
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Il covid si accomoda tra i banchi (O no?)… di Mario Meliadò

I ragazzi riascoltano il suono della campanella “al tempo del Covid”, bardati di mascherina, coi banchi distanziati tra loro. Per la prima volta, papà e mamme a inizio d’anno scolastico si confrontano con sguardi interrogativi di ragazzi che istintivamente vorrebbero senz’altro ridere e scherzare come sempre, studiare come sempre, abbracciarsi come sempre ma sanno bene che – per ora, almeno – non potranno. Per la prima volta, dopo vacanze estive relativamente simili a quelle degli anni precedenti, gli insegnanti si ritrovano a dover gestire più l’ansia di giovani discenti e genitori circa la possibile propagazione del virus anziché solamente spiegazioni, interrogazioni, compiti in classe, voti o giudizi, per quanto magari conditi da turbe adolescenziali e “cotte” più o meno romantiche. (Anche i docenti ai quali, in caso d’abbigliamento inadeguato delle proprie allieve, secondo certuni potrebbe «cadere l’occhio»).
ANTIVIRUS
Nel frattempo che in molti Paesi del mondo la ricerca scientifica fa passi avanti nel cammino per approntare “il” vaccino, quello realmente efficace contro il Coronavirus e in grado di sollevarci da questa patologia sociale, c’è da combattere con le armi che si hanno. Per esempio gel igienizzante, mascherine e distanziamento sociale.
È vero pure che i complottisti di tutto il mondo, in occasione dell’epidemia da Sars-Cov-2 “hanno dato il meglio”: più dei negazionisti dell’allunaggio, più dei terrapiattisti, più di chi ritiene che la distruzione del World Trade Center l’11 settembre del 2011 sia tutta una “bufala”.
In questo caso, però, hanno poche chances di spuntarla: l’efficacia di questi presìdi è dimostrata da uno studio congiunto di Oxford University e Mahidol University di Bangkok, condotto su un campione di 211 persone positive al Covid ma tutte asintomatiche e 839 individui risultati invece negativi al tampone. Potrà apparire tautologico, ma secondo le risultanze scientifiche i soggetti che hanno mantenuto il famigerato “metro di distanza” per tutto il tempo del contatto con una persona positiva asintomatica hanno corso un rischio stimato dell’85% più basso rispetto a chi non ha osservato il droplet; quelli che avevano indossato la mascherina hanno corso un pericolo di contagio del 77% inferiore rispetto a chi ha gestito tale contatto senza la mascherina; chi ha lavato le mani di frequente, facendo ricorso alle più opportune soluzioni igienizzanti, ha visto la possibilità di contrarre il virus ridursi del 66% rispetto al contatto con una persona positiva asintomatica.
Insomma, i negazionisti sono serviti (anche a scuola).
“APOCALITTICI”
Ma c’è di più: dietro gli ottimi risultati anti-Covid di un presidio relativamente rudimentale come una semplice mascherina chirurgica da indossare se stiamo a meno di un metro di distanza dagli altri, ci sarebbe una causa biologica. Secondo l’infettivologa della University of California di San Francisco Monica Gandhi, nella sostanza le mascherine ci esporrebbero al Covid19.
C’è da rallegrarsene?
In qualche modo, sì: la mascherina infatti ci proteggerebbe da una trasmissione «massiva» del virus. Epperò, consentendo a «poche particelle virali» di penetrare nel nostro sistema respiratorio e dunque di fatto di contagiarci (però in maniera debole), secondo la Gandhi attiverebbe in maniera significativa il nostro sistema immunitario, consentendo al nostro organismo di “fare muro” contro il Coronavirus.
E stando ai ricercatori della University of California proprio questo sistema difensivo, tutelarsi indossando la mascherina, per le ragioni appena menzionate potrebbe rivelarsi la via soft all’immunità di gregge. Un obiettivo che, ricercato per la via maestra, secondo la comunità scientifica implicherebbe invece una mortalità del 2% della popolazione; considerando i 7 miliardi 800 milioni di persone che attualmente assiepano il pianeta Terra, almeno 156 milioni di donne e uomini nei vari Paesi del mondo dovrebbero immolarsi per la Causa, prima che venga raggiunto l’obiettivo.
IL “DUBBIONE”
Abbiamo fatto riferimento alla riapertura della scuola e sùbito dopo allo stato dell’arte della ricerca rispetto al futuro vaccino antiCovid, perché “in mezzo” c’è una questione grande quanto una casa: ma nel frattempo che non si trova il vaccino, che si fa?
Proprio la scuola, in questo senso, è un ambiente emblematico perché sono in tanti a ipotizzare/temere che, riaperto l’anno scolastico con lezioni “in presenza” (e non con la sola Dad, Didattica a distanza, come si congetturava da mesi), una “seconda fase” particolarmente violenta dell’epidemia potrebbe costringere a una nuova chiusura delle aule.
O meglio: a un nuovo lockdown, senza troppi giri di parole. Anche perché l’autunno ormai è arrivato e l’inevitabile incremento dei contagi pure, fermo restando che solo pochi giorni fa si è giunti a un milione di “positivi” su scala mondiale.
Ma naturalmente il “pianeta Scuola” e gli altri àmbiti produttivi sono strettamente collegati. Anche perché se i bambini/ragazzi non vanno a scuola, a chi li si affida per consentire a mamma e papà d’andare al lavoro? E a chi li si potrebbe mai affidare se non a un eventuale altro congiunto convivente, considerato che tutti gli altri indistintamente vanno considerati potenziali portatori del virus?
E soprattutto, qui arriva il “dubbione”: perché quanto accade tra le mura di un istituto scolastico dal punto di vista della tutela della salute dovrebbe godere d’alta considerazione, al punto da far lievitare l’idea di un ritorno alla mera didattica online, e invece quel che succede nei locali pubblici (dove purtroppo la stagione estiva ha traghettato tutti a reiterati assembramenti) o sul posto di lavoro no?
CONCORSI A RISCHIO
La cosa è talmente inverosimile che su vari fronti (precari della scuola, operatori giudiziari, giornalisti Rai, scuola primaria e dell’infanzia…) si sta chiedendo a più voci di rinviare i concorsi, che verosimilmente andrebbero a essere aggiornati almeno all’inizio del 2021. E in effetti già alcune prove concorsuali sono state annullate: per esempio, il maxiconcorso per infermieri che si sarebbe dovuto tenere tre settimane fa a Bari, alla Fiera del Levante, con la partecipazione di circa 17mila candidati.
Anche quest’orizzonte, però, appare tutt’altro che pacifico: a “fase-uno” del Coronavirus ormai in soffitta, chiunque tra gli addetti ai lavori sapeva che tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno sarebbe scoccata la “fase-due” eppure l’abolizione delle misure precauzionali sancite dal “Cura Italia” (decreto legge numero 18 del 17 marzo scorso) ha visto il ripristino dei concorsi pubblici con le modalità di sempre, salvi ovvi obblighi come le mascherine. Ora però c’è chi “casca dal pero” nuovamente: un’improvvisazione talmente urtante che alcuni osservatori ed esponenti politici confutano quelle suggestioni reputate «ridicole» in quanto arrivano a ridosso di alcuni appuntamenti importanti che già hanno mobilitato migliaia di persone e relativi familiari, in parecchi casi anche con prenotazione di treni, aerei, hotel le cui spese inevitabilmente ricadrebbero esclusivamente sui diretti interessati.
Difendere la salute pubblica è più importante, certo. Ma qualcuno dovrà pur spiegare per quale motivo la possibile ressa per lo svolgimento di qualche prova concorsuale dovrebbe avere natura diversa, o essere tutelata in maniera più intensa, rispetto all’affollamento di una discoteca per l’arrivo di qualche famoso dj. E per quale motivo al mondo la disamina di (ragionevoli) ipotesi di rinvio dovrebbe essere effettuata, all’italiana, soltanto in “zona Cesarini”.

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