Donne violentate, uccise, sottomesse a padri, mariti e fratelli. Il femminicidio segna a lutto la Giornata Internazionale della Donna ed è un eccidio “impressionante”, come ha detto oggi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiamando per nome le vittime degli odiosi delitti di genere che negli ultimi due anni hanno raggiunto cifre record, spinte al massimo dentro la bolla di solitudine della pandemia. La crisi del Covid ha esacerbato gli animi e favorito l’odio. Chiuse in casa con i loro aguzzini, rese prigioniere dalla dipendenza economica o la perdita del lavoro.
Nonostante un bollettino che dall’inizio del 2021 ha fatto registrare morti femminili a ritmo di una ogni cinque giorni, nelle stesse ore in cui Mattarella dedicava un ricordo a queste vite spezzate arriva una sconcertante celebrazione dell’8 marzo secondo il Movimento Pro Vita e Famiglia. Sul blog dell’associazione, l’editoriale di Francesca Romana Poleggi parte in quarta snocciolando i dati Istat del 2019, anno in cui sono avvenuti 315 omicidi, tra questi le persone uccise erano 204 uomini e 111 donne. Un ragionamento vetusto, già sentito e smontato in molte occasioni, ma l’autrice dell’articolo non se ne cura e rincara la dose con una paradossale precisazione: le donne ammazzate non soltanto sono quasi la metà degli uccisi uomini, ma molte tra loro potrebbero pure aver fatto quella fine per mano di altre donne o chissà di qualche rapinatore, che quindi non le odiava in quanto femmine. La conclusione è quasi scontata: “Perché tanta retorica sui femminicidi, se i maschicidi sono di più? Forse per dar modo alla propaganda radicale femminista di far proseliti?” Singolare che a parlare di propaganda siano gli stessi attivisti della famiglia tradizionale che con modalità aggressive colonizzano gli ingressi delle scuole e le piazze di ritrovo dei giovani con campagne omo e tranfobiche o antiabortiste traboccanti di messaggi violenti. Molte delle quali sono state rifiutate in città come Milano e Reggio Calabria facendo gridare alla censura i poteri forti cattolici.
Proseguendo la lettura si capisce presto dove Poleggi voglia andare a parare. Ed è la riflessione dell’8 marzo più inquietante di sempre. Pro Vita denuncia infatti una gigantesca e strumentale omissione: “Non si parla mai di quello che è il più grande sterminio di donne e che avviene sotto gli occhi distratti delle femministe: nel 2020 circa la metà dei 42 milioni e mezzo di bambini abortiti nel mondo erano femmine”. Nel frattempo sui social il noto hashtag dei familisti #stopaborto irrompe tra le mimose e i fiocchetti rosa per mostrare due mani rosse che custodiscono un feto e ricordare che “l’aborto è ancora la prima causa di femminicidio al mondo”.
Ma allo stile dei Pro Vita siamo tristemente abituate. E purtroppo non è la più brutta di oggi. A far di peggio ci pensa Conad, che propone alle clienti il libello “Niente paura”, firmato da Carlo Bocchialini (giornalista e insegnante di arti marziali). Si tratta di un agile manualetto – neppure in regalo, per averlo bisogna spendere almeno 10 euro – distribuito nei punti vendita di alcune città del Nord, dove si spiega come proteggersi dagli stupratori. Peccato che anziché limitarsi a illustrare utili tecniche di autodifesa, Bocchialini indugia in consigli non richiesti. In sintesi ammonisce le donne, eterne Cappuccetto rosso nel bosco, ad essere caute: “A volte bastano un pizzico di prudenza e di strategia per non essere prede facili e scoraggiare un malintenzionato. Perché il cervello è sempre la nostra arma migliore”. E se si mette davvero male, scappiamo – che resta la soluzione più efficace.
Parole intrise del più compassionevole mansplaining, però hanno irritato solo le più attente. Al contrario, il solito hater (forse simpatizzante dei Men’s Rights) ha contestato con fastidio il prof del Collegio tv Andrea Maggi, che sul suo Instagram ha postato il suo pensiero sull’8 marzo facendo mea culpa su atteggiamenti e azioni dei “maschi”. Il follower offeso gli ha fatto subito notare – a lui, scrittore e letterato – di usare più accortezza verso la lingua italiana, avendo declassato gli uomini a maschi. Ammettiamolo, loro ai dettagli ci tengono di più.
Ma qualche muro divisorio tra i sessi sta forse vacillando. In un intervento sul Fatto Quotidiano, Jakub Stanislaw Golebiewski, presidente dell’associazione Padri in Movimento, ha raccolto l’invito che Milena Gabanelli nei giorni scorsi aveva rivolto agli uomini chiedendo che fossero loro a scendere in piazza contro il femminicidio. E ricorda come la violenza si nutra sempre più dell’odio dei social citando recenti dati dell’osservatorio Vox: i tweet contro le donne rappresentano il 49,91% di quelli negativi. E tutti prendono di mira il corpo e le tendenze sessuali per denigrare ruolo e professionalità delle persone attaccate. “Gli uomini – scrive Golebiewski – non possono esimersi dalla responsabilità di essere parte attiva di un cambiamento che porti alla costruzione di una società equa e non violenta. Oggigiorno non basta più affermare “non sono un violento”, serve dimostrarlo con i fatti, in gioco c’è la rinuncia al potere e al dominio maschile così come è stato concepito. Siamo disposti a cedere una fetta di questo tossico dominio maschile? È una grande sfida con noi stessi”.
Non festeggiare, dunque (ce ne sono pochissimi motivi, peraltro) ma fare – da parte di tutte e tutti, insieme. Rinunciando pure alle mimose, anche se il fiore simbolo della giornata della donna fu un’idea italiana concepita da tre comuniste (Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei) per un motivo encomiabile: scegliere un fiore semplice, che ognuna potesse permettersi di indossare per dire “ci sono e lotto”.
C’è almeno una notizia bella di oggi. Senza mimose né clamori, tre donne speciali hanno fatto la loro apparizione come testimonial della giornata nei giardini pubblici di Milano. La studentessa pakistana premio Nobel Malala Yousafzai, ma anche Nandhini (quattordicenne indiana che si è ribellata al destino di sposa bambina) e la scienziata Rita Levi Montalcini, ritratte in mini-sculture. Piccole, ma un passo davanti al monumento di Indro Montanelli – come non poté fare con il celebre giornalista quella giovanissima sposa conquistata in Africa. L’installazione è di Terres des Hommes pensando di dedicare statue a personaggi femminili nel capoluogo lombardi. Al momento a Milano ricorda soltanto i grandi uomini.
Isabella Marchiolo
Il patriarcato assedia l’otto marzo, ma a Milano una piccola Malala è davanti alla statua di Montanelli
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