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venerdì, 27 Dicembre, 2024
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Immunità è permanente o si rischia di ammalarsi di nuovo? Gli esperti la pensano così

Una volta guariti da Covid-19 l’immunità è permanente o si rischia di ammalarsi di nuovo? E’ una delle 10 domande rivolte dall’Adnkronos Salute a 18 esperti: rispondono virologi, epidemiologi, infettivologi, rianimatori e altri clinici, ma anche l’Organizzazione mondiale della sanità e il premio Nobel per la medicina Bruce Beutler. “Da studi internazionali sappiamo che i guariti sviluppano anticorpi neutralizzanti, che poi sono presenti nel sangue dei convalescenti usato a scopo terapeutico – rileva Salute Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore – Quello che ancora non sappiamo è quanto durano questi anticorpi e per quanto tempo si conservano a livelli tali da essere protettivi: nel caso della Sars diversi anni”.
C’è anche un altro aspetto da considerare: per quello che ha potuto osservare ad esempio il virologo Andrea Crisanti, analizzando il plasma dei guariti, “non tutte le persone che si infettano fanno anticorpi neutralizzanti. Noi abbiamo rilevato che solo il 30-40% ha titoli di anticorpi che possono essere utilizzati in terapia”. Insomma, per il direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova e dell’Unità operativa complessa di microbiologia e virologia dell’azienda ospedaliera patavina, “è troppo presto” per dire che tipo di immunità dà il coronavirus Sars-Cov-2. “I coronavirus in genere non inducono immunità permanente – ragiona – Fra qualche mese, comunque, potremo capire di più su Sars-Cov-2. Ci sono studi in corso, su questo fronte stiamo lavorando anche noi a Padova”.
“Il virus Sars Cov-1 dimostrava una protezione almeno di alcuni anni”, conferma il virologo dell’università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco. Ma che faccia lo stesso anche il suo nuovo ‘cugino’ Sars-Cov-2 resta “un’incognita da verificare”. Infatti, mette in guardia l’esperto, “non si sa se il virus potrà mutare, come fa quello dell’influenza” di anno in anno, “e quindi far perdere l’immunità acquisita”. “Quello che sappiamo sempre per analogia – aggiunge Giorgio Palù, past president della Società europea di virologia e professore emerito di Microbiologia dell’università di Padova – perché ancora non conosciamo la ‘full story’, è che nei sopravvissuti di Sars e Mers gli anticorpi resistevano per più di 3 anni. Per altri coronavirus, da studi condotti negli anni ’80-’90 sui virus del raffreddore, a un anno di distanza erano ancora protetti. Uno studio non pubblicato di Harvard con una previsione matematica sui titoli anticorpali ha affermato che dovrebbero durare almeno 1 anno. Ancora non lo sappiamo e non possiamo fidarci nemmeno di queste previsioni, dobbiamo verificarlo sperimentalmente su un numero rilevante di soggetti”.
“Ci aspettiamo – dichiara il portavoce dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Tarik Jašarević – che la maggior parte delle persone infette da Covid-19 sviluppi una risposta anticorpale in grado di fornire un certo livello di protezione. Quello che non sappiamo ancora è il livello di protezione o quanto durerà. Stiamo lavorando con scienziati di tutto il mondo per comprendere meglio la risposta del corpo all’infezione. Finora, nessuno studio ha risposto a queste importanti domande. Per questo motivo, non può esistere alcun ‘passaporto di immunità’ o ‘certificato di assenza di rischi'”. “Le persone che hanno avuto una forte risposta anticorpale – evidenzia Bruce Beutler, immunologo e genetista americano, premio Nobel per la Medicina 2011 – hanno probabilmente meno probabilità di contrarre la malattia una seconda volta e possono conferire ‘immunità di gregge’, proteggendo effettivamente gli altri, perché non sono più in grado di essere untori. Ma come per la domanda sul vaccino, non c’è ancora abbastanza esperienza per conoscere il grado o la durata dell’immunità”. “Non sappiamo per certo quanto durerà l’immunità – gli fa eco il virologo Guido Silvestri, docente negli Usa alla Emory University di Atlanta – potrebbe dipendere dal tipo di infezione avuta (asintomatica, lieve, severa etc)”.
“Non lo sappiamo – dice anche l’immunologa Antonella Viola, direttrice scientifica dell’Irp (Istituto di ricerca pediatrica)-Città della speranza di Padova – Si pensa che nelle persone che hanno sviluppato immunità, questa possa durare almeno alcuni mesi. Ma se sia definitiva, non lo sappiamo ancora”. “Non sappiamo quanto duri la protezione dall’infezione”, risponde Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e virologia all’ospedale San Raffaele di Milano. “A oggi non ci sono evidenze scientifiche sufficienti per affermare che si diventi immuni al coronavirus, anche se ci sono indizi in questo senso, né elementi per stabilire quanto a lungo possa durare un’eventuale immunizzazione – precisa Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di statistica medica ed epidemiologia molecolare dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – Questa malattia la vediamo e la studiamo da circa quattro/cinque mesi, un tempo molto limitato per fare analisi e valutazioni sugli ex infetti, che potrebbero avere sviluppato un’immunità. Saranno necessari tempi più lunghi – avverte – per stabilire modalità e tempo di immunizzazione”.
“Al momento sembra che l’immunizzazione sia permanente – sostiene Giuseppe Novelli, genetista dell’Università di Tor Vergata – ma abbiamo bisogno di più tempo e più studi immunologici per stabilirlo con certezza”. “Chi si ha sviluppato le Igg diventa immune e non c’è rischio di avere nuovamente la malattia. La cosa che non sappiamo è per quanto tempo si rimane immuni, 6 mesi, 12 mesi o due anni? Se guardiamo alla Sars ci sono dati che dicono che almeno per 12-24 mesi queste difese dovrebbero mantenersi”, afferma Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova e componente della task force Covid della Regione Liguria. “Ancora una volta – dice il direttore scientifico dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma, Giuseppe Ippolito – sappiamo poco. Difficile dire quanto duri questa immunità. Alcune sperimentazioni indicano che si tratta di un’immunità di breve durata e soprattutto che il ciclo di questi anticorpi sia limitato. Ma servono dati a lungo termine”. Anche Francesco Le Foche, responsabile del day hospital di immuno-infettivologia del Policlinico Umberto I di Roma, ammette: “Non lo sappiamo. Se l’immunizzazione ha lo stesso andamento che ha nella Sars dovrebbe mantenersi per 2 o 5 anni. Ma è un virus nuovo. Va quindi controllata la durata nel tempo degli anticorpi neutralizzanti”.
Non ci sono certezze in questo campo, ribadisce Pierluigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa e coordinatore scientifico della task force pugliese per l’emergenza coronavirus, che risponde: “Non lo sappiamo”. Il virus Sars-Cov-2 “induce la produzione di anticorpi cosiddetti ‘neutralizzanti’ cioè diretti verso la proteina virale detta ‘spike’ che permette al virus di penetrare nella cellula umana infettandola. Essi la ‘neutralizzano’ impedendo così al virus di entrare all’interno di essa e moltiplicarsi – ricorda Marco Tinelli, infettivologo e tesoriere della Simit, la Società italiana di malattie infettive e tropicali – Nella precedente epidemia di Sars nel 2003, sono stati rilevati anticorpi anche da uno a due anni dopo l’infezione. A tutt’oggi non è chiaro se nel caso di Sars-Cov-2, essendo un virus ‘nuovo’, l’immunità conferita dagli anticorpi neutralizzanti nei pazienti che hanno superato l’infezione sia protettiva verso nuove potenziali re-infezioni. Dati preliminari relativamente ad alcuni vaccini, in sperimentazione, dimostrano che sono in grado di sviluppare un’ottima protezione immunitaria senza rischi collaterali”.
Durante un intervento in aprile a ‘Che tempo che fa’ su Rai2, il virologo Roberto Burioni faceva notare che “tutti i virus respiratori che conosciamo fino ad ora conferiscono un certo grado di immunità. Magari non per tutta la vita, però per un po’ di tempo sì. Speriamo che questo virus non faccia eccezioni”. E in un’altra dichiarazione sul portale ‘Medical Facts’, il docente dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano ha ribadito: “Posto che ancora non sappiamo se ci si può reinfettare” dopo avere contratto e superato un’infezione da Sars-Cov-2, “finora tutte le infezioni virali respiratorie forniscono un certo grado di protezione. Questo virus ovviamente potrebbe essere il primo a non fornirla, ma sarebbe una notevole eccezione”.
Gli esperti non si sbilanciano. E per Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di anestesia e rianimazione generale e cardio-toraco-vascolare dell’ospedale San Raffaele di Milano, fanno bene. Perché ancora, se l’infezione da nuovo coronavirus conferisca o meno immunità permanente, o se ci sia il rischio di ammalarsi di nuovo, “gli immunologi seri non lo sanno”, chiosa.

(Adnkronos)

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