Nel 2030, Molise, Sardegna, Calabria, Basilicata e Sicilia perderanno oltre il 10% della loro popolazione in età lavorativa, secondo le previsioni dell’Istat. “In assenza di interventi sull’occupazione e sulla produttività, la forbice con l’Ue, nel 2030, è destinata ad allargarsi pressoché ovunque in Italia e in particolare nelle regioni del Mezzogiorno“, è la previsione dell’istituto, per effetto delle tendenze demografiche.
Il ridimensionamento della popolazione attiva e il suo invecchiamento, per l’Istat, “potrebbe condurre a una crescita sistematica dei differenziali di reddito“. In particolare l’Abruzzo potrebbe finire nel 2030 tra le regioni europee meno sviluppate, quelle con un Pil pro capite inferiore al 75% della media Ue. Liguria, Toscana e Piemonte finirebbero tra le regioni in transizione (che sono quelle con un Pil pro capite compreso fra il 75 e il 100% di quello europeo) e anche il Lazio sarebbe a rischio declassamento in questa categoria. Questa tendenza, secondo la simulazione si potrebbe contrastare puntando sull’occupazione, e in particolare quella femminile.
Se al trend demografico previsto si accompagnasse anche un incremento dell’occupazione tale da portare le nostre regioni al tasso europeo, il livello di Pil pro capite si innalzerebbe pressoché in tutte le regioni, al punto che nel 2030, nessuna regione rientrerebbe più tra le “meno sviluppate” e si amplierebbe, la platea di quelle “in transizione”, segno di ripresa del processo di convergenza. “L’aumento della base occupazionale e per esempio la base occupazionale femminile, che è particolarmente carente nel Mezzogiorno, potrebbe essere il driver su cui orientare tutte le risorse disponibili“, osserva il direttore centrale per le statistiche Ambientali e Territoriali, Sandro Cruciani, in conferenza stampa.