La mia scuola, l’Istituto Comprensivo di S. Eufemia quest’anno, ha avviato un progetto sulla Legalità, per mezzo del quale abbiamo potuto ascoltare le storie di molte persone vittime di questo fenomeno, che ormai da anni distrugge pezzo per pezzo la Calabria. Queste persone sono uomini e donne che hanno avuto il coraggio di affrontare e superare situazioni dalle quali molti non sarebbero stati in grado di uscirne. Queste persone hanno avuto anche il coraggio di denunciare quello che gli stava accadendo alle autorità, che le hanno aiutate fino alla risoluzione del problema. Nel territorio Lametino sono successi molti fatti riguardanti l’Ndrangheta: omicidi, cronache di lupara bianca, sparatorie, azioni di racket, usura, estorsioni, traffico di droga e armi e controllo dell’affidamento degli appalti pubblici. Di tutte queste vicende quella che mi ha colpito in particolare è la storia dell’imprenditore lametino Rocco Mangiardi. Rocco Mangiardi incarna la copertina che fa da sfondo a tutto il progetto: un tentacolo tenta di avvolgere la persona umana, di soffocarla, di ucciderla ma la persona con coraggio reagisce e con grande sforzo spezza quel legame che il tentacolo avrebbe voluto creare. Difatti il sig. Mangiardi, testimone di giustizia, ha spezzato il tentacolo che voleva attirarlo nelle sue spire; con le sue dichiarazioni ha fatto condannare i suoi estorsori, appartenenti alla cosca Giampà. Rocco è figlio di una famiglia calabrese emigrata al Nord e poi tornato a Lamezia Terme. I suoi problemi iniziano ad arrivare quando decide di diventare un piccolo imprenditore. Infatti, una ventina di anni fa, apre un’attività di autoricambi ma si trova subito a dover affrontare la dura realtà del racket e delle estorsioni. Mi ha talmente coinvolto la sua storia che ho voluto incontrarlo nel suo negozio e ne ho approfittato per porgli delle domande riguardanti la sua storia.
Domanda – Come si è sentito e che emozioni ha provato durante il faccia a faccia con il boss Giampà?
Risposta
“Non è stata una mattinata facile, lo sai no? Credo che tutti l’ho sanno, perché gli esseri umani non sono coraggiosi il coraggio si trova. Io quella mattina ero molto teso perché dovevo dire esattamente e ricordare tutto quello che sentivo dire dal boss. Perché non c’erano le microspie quel giorno perché non le hanno potute mettere perché avevano delle videocamere intorno lì a quella abitazione, che adesso è confiscata ed è di tutti i cittadini. Ero anche molto teso perché avevo di fronte quattro persone che io avevo denunciato, tra i quali il boss Pasquale Giampà che mi ha portato molta tensione e paura. Quella mattina ero nervoso quando sono entrato, fin quando sono stato lì a parlare con loro, però quando sono uscito ero la persona più calma e serena del mondo perché mi sentivo un uomo libero”.
Domanda – Nel momento in cui lei ha deciso di non piegarsi alla ‘Ndrangheta si è assunto una responsabilità di pericolo per lei e la sua famiglia. Cosa ha provato nel momento in cui ha messo in pericolo la vita dei suoi figli? I suoi figli l’hanno mai rimproverato per questo?
Risposta
“Guarda quando si fanno queste scelte forti bisogna considerare anche i propri figli. Fermo restando che prima di fare questa bella scelta forte la sera non vedevo l’ora, quando sono venuti a chiedermi i soldi, di andare a casa e parlare con i miei figli. I miei figli, dopo che io ho raccontato loro tutto, mi hanno guardato negli occhi come a dirmi: “Guai a te, se ti arrendi e paghi”. Quindi la mia famiglia era dalla mia parte e quindi mi ha dato anche lei sicurezza e forza per andare a denunciare. Nel corso degli anni è successo qualcosa che mi ha fatto preoccupare, quando è arrivato il momento della mia testimonianza che io sono andato a testimoniare, nei giorni successivi è successo che venivano tutte le personalità, i ministri e viceministri e venuto anche il Presidente Napolitano che mi ha voluto conoscere. Poi è successo che da quel giorno i giornalisti continuavano a fare la stessa domanda: “Non hai paura che accada qualcosa ai tuoi figli?” sempre a tamburo questa domanda. Giustamente da padre poi ho iniziato a mettermi in testa che i miei figli erano in pericolo ed è successo che una mattina non riuscivo a dormire e i miei figli si sono accorti che io ero preoccupato per loro e poi mi hanno circondato e mi hanno detto: “Devi smetterla di preoccuparti per noi, perché la scelta che hai fatto l’hai fatta anche per noi e quindi un po’ di rischio lo dobbiamo mettere anche noi”. Perché il rischio ce l’ho dobbiamo mettere tutti se vogliamo cambiare le cose, padri e figli, senza rischiare le nostre vite per niente, adesso è possibile. Io pensavo ad un testimone del quale sto parlando da tanto che secondo me è un vero testimone di giustizia puro, ovvero Pietro Nava. Lui è un testimone puro perché non era calabrese e si è ritrovato quella mattina questa macchina che lo ha sorpassato ed è successo che i passeggeri del veicolo hanno iniziato a sparare e hanno ucciso il magistrato Rosario Livatino. A Pietro Nava non interessava quello, poteva benissimo andarsene via perché non avevano chiesto i soldi a lui come hanno fatto a me, perché io sono stato toccato direttamente e quindi mi sono difeso. Lui poteva andarsene via, ma non si è voltato dall’altra parte, alla prima curva si è fermato e ha telefonato la polizia e ha detto per filo e per segno come erano vestiti gli assassini e cosa hanno fatto. Anche se non è riuscito a salvargli la vita a Rosario Livatino, gli ha reso giustizia con la sua testimonianza. In quel periodo degli anni 90, quando è successo il fatto di Pietro Nava, erano periodi in cui non si potevano fare queste cose perché non c’era l’attenzione delle associazioni, erano proprio soli. E’ sono queste vittime Falcone, Borsellino, Nava che hanno fatto sì che reagissero le coscienze dei cittadini e quindi hanno fatto in modo che la Legge si interessasse un po’ di più alla mafia”.
Domanda – Nella società civile e imprenditoriale c’è stato qualcuno che le ha detto: “Rocco ma chi te l’ha fatto fare?” “Non potevi pagare?”
Risposta
“In faccia non me l’ha detto nessuno, però ogni tanto me lo fa pensare qualche mio collega commerciante perché in quel momento storico non ero solo io a dover denunciare, perché il boss Giampà in quell’incontro mi ha detto che: “In via del Progresso pagano tutti dalla A alla Z” quindi non ero solo io. Avevamo cercato di creare un insieme di commercianti in quel periodo quando sono venuti a chiedermi questa estorsione. Insieme a questi commercianti eravamo 25-30 persone, tutti noi avevamo a che fare con la cosca Giampà che veniva a chiederci i soldi. Molti pagavano da anni, io avrei dovuto iniziare a pagare secondo loro e quindi ci eravamo riuniti, dal momento che gli estortori avevano lo stesso nome della banda Giampà, per fare una denuncia collettiva. Purtroppo da quella stanza dove abbiamo fatto quella riunione siamo usciti senza nulla di fatto perché nessuno ha voluto firmare questa denuncia collettiva. Questo è anche il motivo per cui io sono con la scorta. Perché se avessimo fatto tutti quella denuncia, non avrebbero dato la scorta a tutti e non avremmo rischiato nessuno perché non potevano far del male a 25-30 persone. Quella è la forza, cioè essere insieme e denunciare. Quindi mi sono ritrovato a firmare ed andare a denunciare da solo, perché quella era la mia volontà e quella volontà che educandola in un certo modo avevano anche i miei figli. Mi hanno fatto arrabbiare quando alla luce, poi al processo, questi commercianti sono stati coinvolti in questo fatto, una volta che ci sono stati i pentiti dopo che io testimoniai, tra i quali un ragazzo che è cresciuto in quelle famiglie ed è diventato un killer, mi ascoltò quel giorno in tribunale e fece i nomi dei commercianti che erano stati estorti da lui. Ed erano proprio quelli che avevo incontrato in quelle riunioni. Ebbene questi qua anziché pensare e dire: “Ma io lo devo dire perché è vero, perché tanto è il boss che lo dice, non lo dico io, è il boss”. Hanno negato tutto, questa è una disonestà per i loro figli per i loro nipoti perché era il momento giusto, non rischiavano niente in quel momento tanto: “Tanto è il boss che dice io pago, quindi che mi costa dire di sì?”. Questa è stata la cosa che mi ha fatto un po’ arrabbiare. Puntualmente chiamavano i giornalisti e facevano rispondere al loro avvocato: “Il mio cliente non c’entra niente!”. Qualcuno dei commercianti è stato condannato a due anni di carcere per falsa testimonianza. Poi ci sono i segnali belli forti come quelli dei ragazzi del forno del pane. Quello è stato un episodio bellissimo”.
Domanda – Lei che consiglio sulla legalità vorrebbe dare ai giovani?
Risposta
Io ai ragazzi gli do sempre un monito, cioè di arrabbiarsi con i genitori, con gli zii, con i parenti quando dicono che il mondo lo dovete cambiare voi. Perché non è giusto, perché se il mondo è brutto così è perché noi non abbiamo fatto niente per farvi trovare qualcosa di bello. Perché non abbiamo fatto le rivoluzioni necessarie e quando vi dicono così o vi sentite dire che i nostri ragazzi se ne devono andare, non c’è lavoro, se ne devono andare via, fuori, a lavorare fuori arrabbiatevi perché se voi ve ne andate fuori e perché noi non abbiamo fatto niente per farvi restare. Io chiudo sempre così, se io avessi detto ai miei figli: “Guarda pago Giampà, tanto il futuro lo cambiate voi” cosa avrei fatto? Niente. Avrei peggiorato le loro cose e invece guardandoci negli occhi ho detto: “Figlia mia, io i mafiosi non li pago e se mai sarà possibile il futuro lo cambieremo insieme”.
CONCLUSIONI E CONSIDERAZIONI
Durante questo progetto scolastico ho imparato tante cose. Ho imparato a conoscere un fenomeno riguardante il territorio in cui vivo e di cui non avevo considerazione. Conoscendolo ho capito in che modo agisce e cosa fa dei giovani e delle persone in generale. Ho capito che intraprendere la strada della mafia è una scelta che distrugge, da tutti i punti di vista, la vita di chi ne fa parte. La distrugge, per esempio, dal punto di vista delle relazioni sociali, perché chi diventa mafioso viene allontanato da tutti e nessuno vuole averne a che fare. La mafia, ovviamente, distrugge la reputazione di una persona facendole avere la fedina penale sporca. Durante questo progetto ho apprezzato molto ascoltare la vita e le storie dei vari relatori che sono venuti a farci visita. Le storie erano di tutti i tipi: alcune intriganti, alcune misteriose, alcune hanno espresso forza e coraggio. Ma tutte queste storie hanno una cosa in comune: l’orrore, la crudeltà, la paura, la tristezza, l’angoscia. Tutti questi fatti e aggettivi sulla ’Ndrangheta ci fanno sorgere a tutti noi una domanda: “Come è possibile che nel 2022, in un’era così civilizzata e acculturata, ci siano ancora persone, se così si possono definire, che vanno a chiedere il pizzo, che uccidono uomini, donne e bambini e mettono in ginocchio intere società?”. Il mondo, lo sappiamo tutti, che non è rose e fiori e che in giro le persone cattive ci sono, ma in questo caso la mafia ha battuto ogni record sia come cattiveria, sia come crudeltà e la pietà è un aggettivo che non sta nel loro vocabolario. Per ultimo, e a conclusione di questo interessante progetto ho imparato una cosa molto importante: la cosa importante e sicura che ho capito è che se in futuro dovessi trovarmi in miseria, comunque per nessun motivo chiederei aiuto alla ’Ndrangheta perché la fine che farei sarebbe o in carcere o ancor peggio dentro una cassa da morto. Sempre e comunque bisogna essere uomini liberi.