Lamezia Terme – Claudio Cavaliere, lei insieme al dott. Roberto Spadea, dal 1982 al 2014 archeologo responsabile della zona lametina per la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, ha sollevato la questione del Museo Archeologico lametino. Ci può spiegare di cosa si tratta?
“In verità la prima a sollevare il problema è stata l’Associazione archeologica lametina, una tra le migliori energie della città nel settore della valorizzazione dei beni culturali, vera artefice nel passato dell’apertura del Museo, medaglia d’argento del Presidente della Repubblica per la cultura. La cosa incredibile di questa vicenda è proprio il silenzio in cui si è realizzata. Per questo vi ringrazio per l’attenzione che dedicate al caso. Partiamo quindi dalle conclusioni. Il complesso di San Domenico non è più una proprietà comunale, non appartiene più alla città di Lamezia Terme e ai suoi cittadini. Forse per qualcuno sarà una cosa da nulla. Non so a lei, ma a me pare una notizia di un certo interesse”.
In effetti. Cos’è accaduto?
“Con il decreto ministeriale del 23 gennaio 2016, che assegna il Museo archeologico lametino al Polo museale calabrese, con il comma 2 bis che integra l’art. 16 del precedente decreto 23 dicembre 2014, si dispone che: “L’assegnazione di istituti e luoghi della cultura disposta ai sensi del presente decreto comprende, con riferimento ai beni demaniali già nella disponibilità del Ministero, l’intero immobile e/o complesso, ivi incluse le relative pertinenze, in cui è situato l’istituto o il luogo assegnato ai musei …” Un esproprio di fatto basato su un dato non vero…”
Sta dicendo che sul decreto c’è scritta una cosa non vera?
“Parzialmente falsa se si guarda ai dati catastali che assegnano al demanio solo i due quinti dell’immobile. Probabilmente interamente falsa, a sentire molti tecnici lametini che hanno studiato la storia del complesso di San Domenico, che affermano che la trascrizione di questa presunta appartenenza demaniale è avvenuta senza un atto di proprietà che lo certifichi e che non esisterebbe”.
Può spiegarci meglio?
“Come molti sanno intorno agli anni quaranta il complesso di San Domenico fu concesso dal Comune e usato come caserma militare. I militari vi realizzarono alcune modifiche. Probabilmente, come mi è stato riferito, il corridoio che dall’ingresso conduce alle scale sul lato destro del chiostro. Ciò forse è bastato, quando ne fu trascritta la proprietà al catasto, per una annotazione di proprietà al demanio che non sarebbe vera. Ma per verificarlo basterebbero pochi giorni. In ogni caso che l’immobile non sia una proprietà demaniale è la stessa storia amministrativa a dirlo, con il Comune che vi ha investito milioni di euro, che continua a pagarne le utenze, la pulizia, che vi destina proprio personale, che vi ha realizzato progetti comunitari dove la certificazione della proprietà è necessaria”.
Ma questo significa ripensare l’appartenenza al Polo museale?
“Qui si apre un argomento che andrebbe dibattuto. Siamo sicuri che legarsi mani e piedi alla farraginosa e poco produttiva burocrazia ministeriale nella gestione dei beni culturali sia un vantaggio? Quando è nato il Museo archeologico la dimensione comunale ci sembrava asfittica. Oggi non ne sono convinto. Il concetto di capitale territoriale che finalmente l’Istat ha introdotto nei suoi indicatori di dinamismo e che mette teoricamente fine alla sbornia ultra ventennale sulla globalizzazione ci obbliga a ripensare il tema del locale e della sua gestione in una visione più ottimistica. L’importante è avere idee”.
L’assessore alla cultura ha polemizzato coi vostri interventi accusandovi di propalare notizie false e di essere dei “distratti”, sollevando il problema a quattro anni dal decreto ministeriale.
“Ho molta stima per l’assessore, ciò non toglie che la sua uscita ha lasciato perplessi molti, non solo me. Il cittadino non ha il dovere di leggere e studiare gli atti del Comune. Questo dovere sta in capo alla burocrazia e a coloro che si sono assunti la responsabilità del governo, sindaco, assessori e consiglieri comunali. Sono loro che hanno seguito le fasi preparatorie e conseguenti al decreto. L’accusa di ‘essere distratti’ va indirizzata al più a questi soggetti, al suo predecessore alla cultura, al sindaco, che poi è lo stesso e a quei consiglieri che c’erano prima e ci sono adesso. Però mi preoccupa l’atteggiamento di chi vede le segnalazioni dei cittadini come un fastidio. Esprime una cultura politica che non ha niente a che vedere con quella democratica e partecipativa. Quanto alle notizie false sto ancora aspettando che l’assessore fornisca quelle vere”.
Ma se quello che sostenete dovesse risultare reale come se ne esce da questa situazione?
“Il decreto lo abbiamo letto in tanti. Non mi pare si presti ad equivoci interpretativi. Di fronte ad un oggettivo depauperamento della città avvenuto sulla base di un atto basato su presupposti non veri non bisogna invocare la sensibilità di nessuno per intervenire, ma solo il buon senso di chi amministra Lamezia”.