Bruxelles – Come al 41-bis. La fotografia dei Centri per il rimpatrio (Cpr) di persone migranti in Italia scattata dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti è a dir poco preoccupante: maltrattamenti fisici e uso eccessivo della forza per sedare i disordini, somministrazione di psicofarmaci non prescritti diluiti in acqua, triple reti metalliche sulle finestre e strutture esterne simili a gabbie. Un trattamento “simile a quello osservato nelle unità di detenzione che ospitano i detenuti in regime speciale”. Il Comitato, che fa capo al Consiglio d’Europa, ha pubblicato il rapporto sulle visite effettuate nell’aprile 2024 in quattro Cpr a Milano, Gradisca, Potenza (nella foto di repertorio) e Roma. Da cui, oltre alle presunte violenze fisiche da parte degli agenti di polizia nei confronti dei cittadini stranieri detenuti, emerge “l’assenza di un monitoraggio rigoroso e indipendente di tali interventi da parte della polizia e la mancanza di una registrazione accurata delle ferite subite dai detenuti o di una valutazione della loro origine”. Nel Cpr di Palazzo San Gervasio a Potenza, dove ad agosto è deceduto un ragazzo algerino di diciannove anni, il Comitato ha documentato “la pratica diffusa della somministrazione di psicofarmaci non prescritti diluiti in acqua” ai detenuti. Più in generale, è l’insieme “dell’ambiente carcerario” a impressionare: “Gli schermi a tripla rete metallica sulle finestre e le strutture esterne simili a gabbie, la scarsa qualità del cibo fornito ai detenuti e la carenza di scorte di articoli da toilette”. L’impiego di squadre anti-sommossa e di intervento nella rotazione della supervisione dei detenuti “non è appropriato”, sottolinea il rapporto. Tutti questi elementi confluiscono nell’inquietante valutazione del Comitato per la prevenzione della tortura: le condizioni delle persone migranti in attesa di rimpatrio in Italia sono simili a quelle dei criminali sottoposti al regime di carcere duro.
Di fatto, i cittadini stranieri vengono “immagazzinati” nelle strutture, con le società vincitrici degli appalti dei Cpr che “hanno investito solo sforzi minimi per offrire poche attività di natura propositiva”, non rispettando i termini delle gare d’appalto. Alla luce della recente estensione da tre a diciotto mesi del periodo massimo di detenzione imposta dal governo Meloni, il Consiglio d’Europa ha chiesto “che venga introdotta una gamma completa di attività utili” per le persone migranti. Anche perché, secondo l’analisi del Comitato, “l’alto tasso di eventi critici e di violenza registrato all’interno dei Cpr” sarebbe “una diretta conseguenza delle sproporzionate restrizioni di sicurezza, della mancanza di valutazioni del rischio individuale dei cittadini stranieri e del fatto che le persone detenute non avessero di fatto nulla per occupare il loro tempo”. Non si salvano nemmeno l’assistenza sanitaria e legale: l’attuale sistema di certificazione da parte dei medici generici dell’idoneità detentiva in un Cpr “dovrebbe essere rivisto, per garantire che siano coinvolti medici con esperienza e conoscenza delle condizioni di un ambiente sicuro“. E lo “screening medico delle persone detenute al momento del loro ingresso migliorato”. Così come l’accesso alle garanzie legali e a un avvocato. Lo schiaffo finale mette un’altra volta in crisi il progetto su cui Meloni è decisa a investire oltre mezzo miliardo in cinque anni. “Le pessime condizioni materiali, l’assenza di un regime di attività, l’approccio sproporzionato alla sicurezza, la qualità variabile dell’assistenza sanitaria e la mancanza di trasparenza della gestione dei Cpr da parte di appaltatori privati, mettono in discussione l’applicazione di tale modello da parte dell’Italia in un contesto extraterritoriale, come in Albania“, conclude il rapporto.
A corredo, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha pubblicato – su richiesta delle autorità italiane – la risposta con cui Roma fornisce prove e controprove sulla gestione dei Centri per il rimpatrio. E garanzie sul funzionamento dei centri di identificazione e di trattenimento di Shengjin e Gjader nel rispetto dei diritti umani delle persone migranti, insistendo sulle misure previste per valutare le condizioni di vulnerabilità. Sull’abuso di somministrazione di psicofarmaci al Cpr di Potenza, Roma assicura che sono state svolte “diverse ispezioni da parte delle autorità sanitarie”. E i casi di maltrattamento fisico descritti nel rapporto “non sono stati oggetto di indagini penali”, replicano ancora le autorità italiane. Le osservazioni italiane allegate al rapporto “forniscono riscontri puntuali alle criticità espresse” e “allo stesso tempo, mostrano l’evoluzione delle misure nazionali per soddisfare le raccomandazioni espresse, in particolare sul sistema di trattenimento dei migranti nei Cpr, e la disponibilità italiana a continuare a lavorare con il Cpt su tutti i punti sollevati“, spiega in una nota la Rappresentanza permanente d’Italia al Consiglio d’Europa.
(Fonte: eunews.it)