Riunioni di mafia sull’asse Milano-Calabria per la gestione della Curva Sud. Coperture della ‘ndrangheta per difendersi dall’assalto del «rivale» Domenico Vottari che voleva scalare il feudo della Sud della coppia Lucci-Lombardi. È lo scenario che emerge nella nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Domenico Santoro nei confronti del capo ultrà rossonero Luca Lucci, già in carcere da fine settembre per l’inchiesta «Doppia curva» e per droga (18 novembre), nelle indagini sul tentato omicidio di Enzino Anghinelli, il tifoso rossonero vittima di un agguato il 12 aprile 2019 in via Cadore a Milano. Come esecutore materiale è già stato arrestato alcune settimane fa l’ultrà (e braccio destro di Lucci) Daniele Cataldo, e lo stesso Lucci era indagato come mandante. Ora l’inchiesta coordinata dai pm Paolo Storari e Leonardo Lesti, ha portato alla nuova ordinanza per Lucci notificata dalla squadra Mobile di Milano nel carcere di Voghera (Pavia) dove è detenuto. Un agguato che, secondo le indagini, sarebbe maturato nell’ambito di «uno scontro per il controllo della Curva Sud» e per certificare la volontà di «supremazia» conquistata dal 2016 da Luca Lucci, che stava portando avanti una «guerra» contro un altro gruppo di ultrà milanisti, i Black Devil, capeggiati da Domenico Vottari, a cui era legato Anghinelli. In mezzo anche presunte mediazioni portate avanti da Giuseppe Calabrò, detto ‘u Dutturicchiu, personaggio considerato legato ai clan della ‘ndrangheta di San Luca e di Platì (Reggio Calabria).
Per il gip Santoro, i «contatti» tra «esponenti della Curva Sud» e «ambienti della criminalità organizzata calabrese» dimostrano un «progressivo avvicinamento tra delinquenza da stadio e ‘ndrangheta, che lascia pensare a sviluppi preoccupanti» e che conferma la «estrema pericolosità» del gruppo «capeggiato» da Luca Lucci, che può «avvalersi di legami di così rilevante spessore». Per il giudice, come si legge nella parte del provvedimento sulle esigenze cautelari, Lucci è diventato un «vero e proprio padrone» di quel «territorio», ossia dello stadio di San Siro, e ha creato negli anni un «clima di intimidazione e assoggettamento». Sarebbe riuscito anche ad entrare «in contesti forieri di sempre maggiori introiti economici avvalendosi» della sua «fama criminale».
Per il giudice Santoro è «obiettivamente impensabile ritenere che l’azione di sangue» ai danni di Anghinelli «sia stata frutto di iniziativa autonoma di Cataldo», l’uomo di fiducia di Lucci, ma ci sarebbe stata, invece, una «precisa direttiva» del capo della Sud. Per il gip il «sentimento di astio» di Lucci nei confronti di Anghinelli aveva «radici risalenti». Già nell’ottobre 2018 «Manolo Recrosio, fedelissimo di Lucci» aveva minacciato di morte Anghinelli, il quale poi subì una lunga serie di aggressioni fino allo scorso luglio, con l’ultimo pestaggio. Anghinelli, sintetizza il gip, sarebbe stato un «cane sciolto» che voleva «fare affari con la curva», minando il potere di Lucci e alleandosi a volte con Giancarlo Lombardi, ex capo ultrà detto «Sandokan», o con Domenico Vottari dei «Black Devil».
Per Lucci e i suoi quel loro “bersaglio” era anche un «infame» e questo rappresentava un altro «solidissimo movente». Anghinelli era diventato «troppo ingombrante», in particolare per uno dei business della curva Sud, ossia il traffico di droga. Tutto ciò in un contesto in cui entrambi i gruppi «in guerra» per il controllo della curva avrebbero avuto pure «rilevanti legami con articolazioni della `ndrangheta», contatti che Lucci avrebbe avuto ancora di recente. Agli atti le parole intercettate di Giuseppe Caminiti, legato a Calabrò e arrestato a fine settembre nell’inchiesta «Doppia curva»: quelli «sparano di brutto» diceva, facendo riferimento a Lucci e ai suoi. «Quando c’era qualcuno che voleva fare un attimo lo scemo nella Curva del Milan … l’han seccato! (…) è vivo ma è come un vegetale», spiegava Caminiti. Un riferimento «chiaro», secondo gli atti, ad Anghinelli.
(Fonte: corriere.it)