Annullata e rinviata. Processo da rifare. In aula il presidente Pierpaolo Di Stefano ha letto il dispositivo con il quale è stata in parte annullata la sentenza di secondo grado del processo ‘Ndrangheta stragista’ del 23 marzo 2023 che aveva condannato all’ergastolo il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, e il mammasantissima di Melicucco, Rocco Santo Filippone, ritenuto espressione della cosca Piromalli di Gioia Tauro.
Gli ermellini hanno quindi dato ragione agli avvocati Guido Contestabile e Salvatore Staiano, difensori di Filippone, e agli avvocati Giuseppe Aloisio e Federico Vianelli, che hanno assistito Graviano. Respinte tutte le richieste dal sostituto procuratore generale Antonio Balsamo e sconfessate le ricostruzioni della procura generale e dalla Dda di Reggio Calabria, guidate rispettivamente da Gerardo Dominijanni e al tempo da Giovanni Bombardieri (oggi procuratore capo di Torino), e sposato le risultanze dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto facente funzioni Giuseppe Lombardo che, assieme all’aggiunto Walter Ignazitto, ha rappresentato l’accusa anche nel processo di secondo grado. L’episodio criminoso del processo, ricordiamo, fu l’attentato consumato il 18 gennaio 1994 sull’autostrada, all’altezza dello svincolo di Scilla, dove furono trucidati i carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Questo attentato, per i giudici di primo e di secondo grado, rientra nelle cosiddette “stragi continentali” che hanno insanguinato l’Italia all’inizio degli anni Novanta. Lo scopo di ‘Ndrangheta e Cosa nostra, secondo i giudici di merito, era quello di colpire al cuore il Paese e le istituzioni per costringerli a trattare. Per farlo era necessario esercitare “una pressione sempre più asfissiante e ad ampio raggio nei confronti dello Stato, in vista del raggiungimento degli obiettivi inerenti all’eliminazione del regime previsto dal 41 bis dell’ordinamento penitenziario e la modifica della legislazione sui pentiti”. Prima di questo agguato a Reggio Calabria ci furono altri due attentati ai danni dei carabinieri. Per la Suprema corte, però, le cose stanno diversamente. In base al dispositivo di sentenza che ANTIMAFIADuemila ha potuto visionare, Filippone e Graviano non sarebbero i mandanti e gli istigatori (in concorso fra loro e con Calabrò Giuseppe e Villani Consolato) degli omicidi dei carabinieri Fava Antonino e Garofalo Giuseppe (18 gennaio 1994), Pasqua Vincenzo e Ricciardo Silvio (2 dicembre 1993); Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra (1° febbraio 1994).
Sei militari dell’Arma morti. E perché?
Per i giudici di merito la finalità era “‘piegare’ lo Stato alle richieste di attenuazione e/o eliminazione del carcere duro per mafiosi e ‘ndranghetisti ed alla revisione della legislazione sui collaboratori di giustizia, che rappresentavano entrambi aspetti di particolare rigore per i criminali interessati, impeditivi della realizzazione dei propri interessi”. Per la cassazione invece sono sciocchezze. Non c’è nessun disegno più ampio, nessuna finalità di eversione, nessuna finalità di agevolare le attività di Cosa nostra e della ‘Ndrangheta. La Cassazione ha riconosciuto solo il reato contestato di associazione mafiosa nei confronti di Rocco Santo Filippone: cioè hanno ammesso che si tratta di un boss di ‘Ndrangheta ed è per questo che la condanna a 18 anni ora è definitiva. Certamente occorrerà aspettare di leggere le motivazioni della sentenza per capire il ragionamento che ha portato i giudici della Cassazione ad annullare la sentenza impugnata. In aula l’avvocato Antonio Ingroia, legale dei familiari dei carabinieri Fava e Garofalo, il quale aveva ribadito che la sentenza di secondo grado della Corte d’Appello di Reggio Calabria del 23 marzo 2023 era una sentenza “storica perché per la prima volta due capi di organizzazioni storiche vengono individuati come capi di una strategia stragista” finalizzata a “destabilizzare lo Stato”.
Lo stesso sostituto procuratore generale della cassazione Antonio Balsamo aveva ribadito con forza il coinvolgimento della criminalità organizzata in quella strategia di attacco alle istituzioni assieme a “settori deviati dei servizi segreti e centri di potere economico e politico che si sono trovati uniti da una stretta convergenza di interessi. Questa convergenza si è tradotta in un progetto eversivo, attuato attraverso una fredda pianificazione e l’assassinio di numerosi fedeli servitori dello Stato. Un esempio emblematico di tale contesto è rappresentato dall’Italia, dove l’Arma dei Carabinieri è stata coinvolta in azioni che riflettono il sacrificio e l’impegno contro queste dinamiche destabilizzanti”, aveva detto Balsamo. La strategia sarebbe servita, come recita la sentenza di secondo grado, a “sostituire la vecchia classe dirigente” della Democrazia cristiana che per Riina e Graviano, “non aveva soddisfatto i loro ‘desiderata’” e sarebbe stata sostituita con il partito di Silvio Berlusconi: “Con tutta evidenza – avevano scritto i giudici di Reggio Calabria – Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta si interessarono al nuovo partito di Forza Italia”. Con alcuni esponenti azzurri, infatti, “i siciliani avevano avviato contatti, tant’è che le stragi cessarono nel corso dell’anno 1994, sussistendo l’aspettativa che il nuovo soggetto politico avrebbe ‘aiutato’ le organizzazioni criminali che l’avevano elettoralmente sostenuto”.
Balsamo aveva dichiarato nella giornata di ieri di ritenere “manifestamente infondati” tutti i motivi di ricorso presentati dagli avvocati degli imputati, in particolare nella parte in cui i legali ribadiscono la non utilizzabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia in quanto, secondo i legali, sarebbero state rese oltre il termine massimo dei 180 giorni.
Il sostituto pg Balsamo ha richiamato la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della nostra Corte Costituzionale, in particolare ha richiamato una sentenza della Corte U.E, la 24116 del 2024 (e quindi valida su tutto il territorio dell’Unione) che di fatto rende quelle dichiarazioni pienamente utilizzabili. “La Corte di Strasburgo – si legge nella nota di oltre 113 pagine del sostituto pg – ha altresì sottolineato che la collaborazione dei ‘pentiti’ è ‘un’arma importantissima nell’ambito della lotta delle autorità italiane contro la mafia’ (sentenza del 6 aprile 2000, Labita contro Italia) ed ha, in molteplici pronunce, evidenziato gli obblighi positivi di tutela penale imposti a carico degli Stati con riferimento a diritti fondamentali come la vita, l’integrità psicofisica, la libertà individuale”. Inoltre “i collaboratori di giustizia sono stati sottoposti a un contraddittorio pieno, che ha permesso alla difesa di utilizzare l’intero complesso delle dichiarazioni precedenti, offrendo così la migliore garanzia di serietà e accuratezza nella valutazione. In merito, richiamo quanto già espresso nella memoria difensiva, che a sua volta fa riferimento alle indicazioni contenute nelle sentenze di secondo e primo grado, rispettivamente con riferimento ai collaboratori Spatuzza e Villani, e al ruolo del Lo Giudice”. “La attendibilità e la credibilità intrinseca delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Spatuzza Gaspare, Villani Consolato e Lo Giudice Antonino sono state approfonditamente valutate dai giudici di merito secondo tutti i parametri richiesti dalla giurisprudenza di legittimità ed anche con riferimento alle ragioni che hanno determinato la “tardività” del loro contributo probatorio” si legge nella nota. Poteva essere una svolta nella ricostruzione della storia del nostro paese. Ma, ancora una volta, la Cassazione ha preferito stendere il velo dell’annullamento.
(Fonte: antimafiaduemila.com)