Il kolossal italiano esiste ancora e compete con Hollywood sfoggiando una produzione da 13 milioni di euro. In un tripudio di effetti spettacolari, costumi maestosi e acrobazie pirotecniche, “Freaks out” di Gabriele Mainetti debutta nelle sale dopo due anni di attesa e l’anteprima pompatissima alla Mostra del cinema di Venezia.
Il regista romano si è guadagnato sul campo l’imponente investimento produttivo dopo il successo del suo film d’esordio “Lo chiamavano Jeeg Robot”, e della partita è anche la Calabria Film Commission con il set di Camigliatello, che fa la sua figura nell’ambientazione d’epoca dove i boschi della Sila ospitano il quartier generale dei partigiani guidati dal leader giustiziere Gobbo (l’attore cosentino Max Mazzotta). Lo hanno già definito “spaghetti blockbuster” e infatti certe imprese dei magnifici quattro protagonisti piacerebbero a Sergio Leone ma anche a Tarantino (il sangue splatter sprizza ovunque senza remore di trash). I freaks – termine anglosassone per definire in modo ridicolo qualcuno affetto da deformità ma anche espressione gergale che indica gente fuori di testa – sono Fulvio (Claudio Santamaria), forza sovrumana e ricoperto di pelo come un lupo mannaro; Cencio (Pietro Castellitto, figlio di Sergio e Margaret Mazzantini),una specie di ammaestratore di insetti; il nano magnetico Mario (Giancarlo Martini); e l’adolescente scontrosa e ribelle Matilde (la giovanissima Aurora Giovinazzo), che ricorda la principessa Elsa di Frozen al contrario, capace di accendere lampadine e provocare scosse elettriche. Emarginati e ripudiati dalle loro famiglie, vivono con l’ebreo Israel (Giorgio Tirabassi), fondatore dello scalcinato circo MezzaPiotta e per il pubblico esibiscono le loro stranezze come capolavori da artisti. Fuori dal tendone ci sono la guerra e il nazifascismo e quando una bomba distrugge il circo e Israel scompare (catturato dalle SS, ma i ragazzi non lo sanno), i freaks sono costretti ad affrontare il mondo. Gli interpreti sono tutti bravissimi, dal Fulvio di Santamaria, sensibile e ferito dagli sguardi dei “normali”, voce e modi da gentleman e pure sexy nonostante il trucco bestiale, alla splendida Giovinazzo, che nel finale non è più una ragazzina orfana ma una donna coraggiosa, che deciderà le sorti dello scontro tra buoni e cattivi trasformandosi in tremendo angelo di fuoco. I cattivi – gli unici mostri di tutta la storia – ovviamente sono i nazisti, con in testa l’invasato pianista Franz, che sogna di assurgere a soldato prediletto di Hitler ma nato freak con un dito di troppo sulle mani (Franz Rogowski). Una menzione speciale nel cast va a Max Mazzotta, che regala al suo personaggio il dialetto calabrese e la verve da caratterista esperto (era entrato nel mito con lo studente fuori corso Fiabeschi di “Paz” e la surreale scena dell’esame di storia del cinema su Apocalypse Now). Ispirato forse a un partigiano calabrese vero, quel Giuseppe Albano originario di Gerace soprannominato Gobbo del Porticciolo a causa di un’evidente deformità, leggendario nella Resistenza per i metodi sanguinari delle prodezze criminali con cui deliziava i compagni di battaglia. Al cinema lo aveva già raccontato Carlo Lizzani nel 1960 con “Il gobbo”, pellicola a lungo nel mirino della censura a causa della crudezza delle scene di violenza e stupro, che ospita un raro cammeo di Pasolini attore. Spietato ma con un grande cuore, il Gobbo di Mazzotta non lesina violenza, turpiloquio e una rabbiosa tolleranza zero contro i nazisti. Se non bastasse, è da standing ovation in sala quando cita il Professore della Casa di Carta intonando un vibrante “Bella Ciao” trasportato dal vento tra i giganti della Sila.
Gli attori di Mainetti ci mettono doti atletiche e passione quanto basta per non far etichettare “Freaks out” come fanfaronata di genere elevata dal costoso portafoglio di effetti speciali – i tecnici della materia ne hanno contati 1800 tra esplosioni, fumi e polveri, digitale compositato e altre maestrie del genere fantascienza. Nota obbligatoria sulla colonna sonora, dove c’è “Bella ciao” ma anche Radiohead e Rachmaninov insieme ai temi emotivi abbinati ai singoli personaggi (espediente narrativo classico e popolare, molto usato nelle fiction) Un grande affresco di due ore e mezzo scorrevoli e coinvolgenti, comprese le lunghissime battaglie alla Braveheart, costruito con lo spirito della Cinecittà d’oro, che non sfigurerebbe tra le candidature agli Oscar. Anche perché agli americani potrebbe ricordare un’opera cult per eccellenza, “Freaks” di Todd Browning, nella quale recitavano veri fenomeni da baraccone degli anni Trenta.
Il messaggio del film di Gabriele Mainetti è un inno alla libertà e al coraggio di scoprire il proprio destino e affrontarlo. I freaks sono grotteschi eppure agiscono con umanità, i nazisti appaiono perfetti come lo sfarzoso teatro circense di Berlino ma il loro animo è nero e mostruoso. Postilla doverosa per i titoli di coda dove si vedono fatti e personaggi dell’ultimo secolo (tra cui Maradona e Rita Levi Montalcini) nei disegni di Franz, profeta pazzo di un futuro che la magia del cinema cambia in corsa, facendo trionfare il Bene sul Male. Nella realtà sappiamo che è successo ben altro. Non smettere mai di ricordarlo, al cinema come sui banchi di scuola, è la nostra perenne resistenza da combattere ogni giorno, ciascuno con le sue prodigiose diversità.
Isabella Marchiolo