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venerdì, 22 Novembre, 2024
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Omicidio Colloca, il gup: “l’infermiere non fu ucciso si suicidò”

Nicola Colloca, l’infermiere 49enne, il cui corpo venne trovato carbonizzato all’interno dell’Opel Corsa della moglie, data alle fiamme in una pineta al confine tra i comuni di Maierato e Pizzo, non fu ucciso ma si suicidò tra il 25 e il 26 settembre del 2010. E’ questa la conclusione a cui è giunto il gup di Vibo Valentia Marina Russo che ha assolto perché il fatto non sussiste la moglie, il figlio ed altri parenti della vittima.

Ad indirizzare verso la tesi del suicidio è stata la consulenza conclusiva del perito incaricato dal giudice. Dopo tale perizia, anche l’accusa aveva chiesto l’assoluzione dei sette imputati. Si tratta di Caterina Gentile, di 51 anni, moglie di Nicola Colloca, e Luciano Colloca (29), figlio dell’infermiere, Michele Rumbolà (65), Caterina Magro (44), Nicola Gentile (57) e Domenico Gentile (45), cognati dell’infermiere. Per loro l’accusa era concorso in omicidio e distruzione di cadavere. Alla moglie, al figlio e a Michele Rumbolà, veniva inoltre contestata la premeditazione del delitto, mentre a moglie e figlio anche l’aggravante di aver agito contro un familiare nei primi due reati. Abbreviato secco avevano invece scelto i coniugi Domenico Antonio Lentini (59) e Romanina D’Aguì (55), accusati di favoreggiamento personale per aver cercato, secondo l’accusa, di sviare le indagini fornendo false dichiarazioni ai carabinieri. I sette erano stati indagati nel novembre del 2017 dalla Procura di Vibo a seguito delle risultanze investigative condotte dai carabinieri.

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Dirimenti le conclusioni della consulenza medico-legale disposta dal giudice e il rigetto della richiesta avanzata dalla Procura e dalla parte civile di rinnovazione di un’altra perizia medica. In particolare, il professore Pietro Tarsitano, già direttore del reparto di Medicina legale dell’ospedale Cardarelli e attualmente docente dell’Università di Napoli, aveva stabilito che quello di Colloca era un suicidio e non un omicidio per come sostenuto dall’accusa sulla base della perizia dello specialista Arcudi (che aveva effettuato i primi accertamenti sul decesso), mentre il primo medico legale Katiuscia Bisogni aveva concordato con la tesi del suicidio.

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