“Anche il giudice Di Matteo lo ammazzano. Gli hanno già dato la sentenza”. Sono queste le parole usate da Gregorio Bellocco, boss della ’ndrangheta, già a capo della cosca di Rosarno. È la mattina dell’1 giugno e a Milano, nel carcere di Opera, alcuni detenuti al 41-bis stanno commentando la notizia della scarcerazione di Giovanni Brusca.
A parlare per primo, durante l’ora di socialità, è Francesco Cammarata, mafioso della famiglia di Riesi, che commenta le dichiarazioni di Maria Falcone: dice che la sorella del “fu giudice” si lamenta solo di quel tipo di scarcerazioni. È a quel punto che, senza un apparente motivo, Bellocco interviene per pronunciare quelle parole: “Anche il giudice Di Matteo lo ammazzano. Gli hanno già dato la sentenza”. I due tacciono subito perché incrociano il passaggio dell’agente del Gom. Il quale, però, riesce a sentire quelle frasi e fa rapporto ai suoi superiori. Quella relazione è finita al Dipartimento amministrazione penitenziaria, che l’ha girata alle procure competenti di Reggio Calabria e Palermo. Gli investigatori vogliono capire a cosa si riferiva Bellocco.
Non è la prima volta che si viene a conoscenza di propositi di questo ipo nei confroni del giudice Di Matteo. Sessant’anni, nella magistratura dal 1991, Di Matteo (nella foto con Nicola Gratteri) si è concentrato in massima parte sulle indagini relative alle stragi di mafia del 1992. Appena arrivato come pubblico ministero alla Procura di Caltanissetta, per Di Matteo ci fu letteralmente un battesimo del fuoco: si trovò a dover far fronte alle inchieste sugli attentati che tra maggio e luglio del 1992 uccisero Giovanni Falcone (e sua moglie Francesca Morvillo), Paolo Borsellino e gli agenti delle relative scorte. È partita allora da parte di Di Matteo, sotto scorta dal 1993, la caccia alla verità.
Per esprimere vicinanza al magistrato è intervenuto anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. lo ha fatto tramite David Ermini, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, che ha preso la parola in apertura del plenum per schierarsi al fianco dell’ex pm di Palermo. “Nella prima occasione pubblica dopo le recenti gravissime minacce rivolte al consigliere Nino Di Matteo da un boss mafioso detenuto, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella mi ha incaricato di rappresentargli la sua affettuosa vicinanza e il forte impegno, da parte di tutte le istituzioni, nel contrasto della criminalità organizzata e la più ferma determinazione nel proteggere magistrati, forze dell’ordine e tutti coloro che sono esposti per l’azione coraggiosa contro la criminalità e le mafie”, ha detto Ermini. E visto che la notizia delle minacce di Gregorio Bellocco risale al 25 giugno, Ermini ha chiarito di aver “già avuto modo- personalmente – di manifestare nell’immediatezza al consigliere Di Matteo la nostra solidarietà, ma è il plenum la sede pubblica appropriata per dirgli che siamo tutti al suo fianco”.