Meglio lavorare o ricevere il reddito di cittadinanza? La vicenda dell’imprenditore di Corigliano-Rossano che si è sentito rispondere picche alla sua ricerca di due tecnici informatici da inserire in organico riapre il dibattito su una vecchia piaga italiana e molto meridionale, quella dell’assistenzialismo dei disoccupati. Nel nostro paese i sussidi al reddito sono storicamente valutati con diffidenza e considerati una misura inutile, richiesta da chi non ha voglia di lavorare e preferire stare in panciolle a carico dello Stato. E al di là dei pregiudizi, non si può negare che nella pratica il caso dell’imprenditore dell’alto Jonio cosentino non sia isolato. Ma, almeno sulla carta, il RdC prevede che i percettori seguano obbligatoriamente un percorso personalizzato di inserimento lavorativo e inclusione sociale.
Si tratta del “patto per il lavoro”, sottoscritto presso il Centro per l’impiego di competenza del beneficiario. Quest’ultimo deve collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze e rispettare gli impegni previsti nel Patto, tra i quali quello di accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue (ovvero coerenti con le esperienze e il curriculum del percettore di RdC, non onerose da raggiungere in termini di distanza dal suo domicilio e tali da coprire il periodo di disoccupazione). Dopo la sottoscrizione del patto è inoltre prevista l’attribuzione di un assegno di ricollocazione da spendere presso i Centri per l’impiego o presso i soggetti accreditati per ottenere un servizio di assistenza nella ricerca del lavoro. Proprio su questo punto ha richiamato l’attenzione l’imprenditore di Corigliano-Rossano, che aveva fatto girare la sua offerta di lavoro attraverso questi canali (social, istituti scolastici tecnici e, appunto, centri per l’impiego). La maggior parte delle proposte ricevute dai percettori di Rdc riguarda infatti lavori di utilità sociale giunte da enti territoriali pubblici (che non possono essere rifiutati, pena la decadenza dal beneficio), ma il vero collegamento dovrebbe essere soprattutto con imprese e privati – per questo specifico compito è stata istituita la figura del navigator, chiamato a individuare opportunità di lavoro che potrebbero proseguire anche dopo il termine del sussidio. Obiettivo che evidentemente è molto difficile da raggiungere se si tratta di comuni o province alle prese con lunghi piani di stabilizzazione.
Molto raro che i navigator cerchino le imprese, ma non avviene spesso neppure il contrario. Nonostante i premi fiscali, che però hanno come premessa contratti a tempo pieno e indeterminato: chi assume beneficiario di reddito di cittadinanza ha diritto a un esonero contributivo, nel limite dell’importo mensile del sussidio percepito dal lavoratore per la durata delle mensilità già godute dal disoccupato sull’arco di 18 mesi (periodo complessivo di erogazione del RdC). Se nell’assunzione è previsto un apprendistato con formazione e il coinvolgimento di enti formativi accreditati, lo sgravio si divide tra il datore di lavoro e il soggetto formatore. Quando invece è il percettore di RdC entro un anno dall’ammissione al contributo ad avviare un’attività imprenditoriale in autoimpiego, gli viene riconosciuto, in un’unica soluzione, un beneficio addizionale pari a sei mensilità di reddito di cittadinanza, nei limiti del massimale stabilito.
L’altra faccia della medaglia riguarda proprio gli importi del beneficio, calcolato sulla base dell’Isee. Il reddito di cittadinanza, erogabile per 18 mesi e sempre rinnovabile se persistono le condizioni di disagio, è composto da una quota di integrazione al reddito che può arrivare fino ad un massimo di 6.000 euro annui, cioè circa 500 euro al mese in media per un intero nucleo familiare (con differenze di cifra in base ai componenti della famiglia), e una ulteriore quota di 280 euro soltanto per chi paga un canone di locazione abitativa.
Il RdC si riduce al netto di altre prestazioni di sostegno (ad esempio ammortizzatori sociali o Naspi) e se in famiglia c’è un percettore di pensione di invalidità civile. In teoria dunque si potrebbe arrivare fino a 780 euro mensili ma pochissimi riescono a ottenere questo importo. E’ però possibile cumulare rimborsi spese, riduzioni tariffarie o rette per servizi e bollette, agevolazioni sui tributi, bonus bebè buoni e prestazioni a favore dei disabili. Ecco perché, calcolatrice alla mano, racimolando i vari aiutino e barando sulla cosiddetta “prova dei mezzi” sull’Isee (è di pochi giorni fa l’ultimo episodio di furbetti RdC che nascondevano praticamente sotto il materasso ingenti somme non dichiarate), ci si può assicurare una somma mensile non favolosa ma neanche misera. Senza lavorare neanche un giorno.
Paradossalmente, è proprio il lavoro a decurtare le entrate dei percettori di RdC. E’ chiaro che essere assunti a tempo indeterminato sarebbe il lieto fine di tutti, ma il più plausibile scenario di qualche opportunità da costruire nella prospettiva del futuro, nel sistema RdC comporta una riduzione mensile difficilmente sostenibile. Il taglio non si verifica soltanto per i contratti di lavoro agricolo di durata non superiore a un mese, con non più di due rinnovi e di retribuzione totale di massimo 2000 euro annuali.
Cifre che si commentano da sole e inducono molti beneficiari a preferire il mero sussidio anziché un graduale reinserimento nel mondo del lavoro, preso in considerazione soltanto in nero, per non perdere neanche un euro. Non solo. E’ pratica consolidata in particolare nel settore dei servizi a bambini, anziani e disabili, anche quella di far leva sul bisogno e ottenere licenziamenti ad hoc, mirati ad avere i requisiti per richiedere RdC (o Naspi) e poi farsi riassumere ma senza contratto e spesso con una richiesta di denaro superiore a quella che si aveva durante il periodo regolarizzato e accumulare stipendio e sussidio. Con mille sotterfugi per ingannare i controlli incrociati di Inps e Finanzia sul patrimonio mobiliare. Solo nello scorso mese di gennaio il RdC è stato revocato a 15mila famiglie proprio per dichiarazioni non conformi ai redditi reali. E le new entry della macchina previdenziale sono stati i 67enni passati dal reddito alla pensione di cittadinanza.
Insomma, con l’attuale meccanismo, nei fatti il vero lavoro sembra essere quello di misurare scientificamente, dal divano di casa, il modo per mettere insieme ciò che si può e farsi mantenere il più a lungo possibile dallo stato. Declinando con un gentile “no grazie” chi una volta tanto, anche in Calabria, un lavoro vorrebbe offrirlo. All’orizzonte c’è però la radicale revisione del funzionamento del reddito di cittadinanza annunciata dal ministro del lavoro Andrea Orlando, che promette una sferzata contro l’assistenzialismo.
Per paradosso il “vero” lavoro è calcolare i cumuli di cifre dal divano di casa
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