Alle prime luci dell’alba, i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, con l’ausilio dello Squadrone Eliportato “Cacciatori” Calabria, a conclusione di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, hanno dato esecuzione a 12 arresti, di cui 11 in carcere e un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari. É la cosca Latella-Ficara il gruppo di ‘ndrangheta al centro dell’operazione. Tra gli 11 indagati per i quali è stata disposta la custodia cautelare in carcere c’é Demetrio Palumbo, di 75 anni, detto “Mico”, considerato elemento di vertice della famiglia Latella, federata con i De Stefano-Tegano-Libri nella “guerra di mafia” che insanguinò Reggio Calabria dal 1985 al 1991. In quegli anni Palumbo si muoveva, per tutelare la propria incolumità, soltanto a bordo di auto blindate. Uomo di fiducia dei boss Latella, Demetrio Palumbo nel 1989 fu vittima di un agguato messo in atto dalla cosca Serraino. In passato Palumbo era stato coinvolto, con l’accusa di omicidio, nel processo “Valanidi”, a conclusione del quale fu condannato all’ergastolo. Pena poi ridotta a 30 anni e che Palumbo ha già scontato. L’operazione ha consentito di ricostruire dinamiche e assetti della cosca di ndrangheta che controlla le attività illecite nel quartiere “Arangea”, nella periferia sud di Reggio Calabria. I carabinieri sono riusciti a ricostruire, in particolare, i metodi seguiti dal gruppo criminale per imporre le estorsioni a numerosi imprenditori di vari settori. I reati contestati alle persone destinatarie delle ordinanze sono di associazione mafiosa, estorsione, intestazione fittizia di beni e armi.
Le indagini, condotte dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Reggio Calabria sotto le direttive della Procura della Repubblica, eseguite sia con le classiche tecniche investigative, ma anche con i più moderni strumenti d’intercettazione hanno permesso di ricostruire dinamiche e assetti dell’articolazione di ndrangheta facente capo alla “locale” operante nel territorio del quartiere Arangea, ricostruendone l’imposizione del controllo del territorio ed un diffuso sistema estorsivo nonché la gestione occulta di diverse imprese economiche. Allo stesso modo, sono state ricostruite le dinamiche riorganizzative interne attivatesi per colmare i vuoti di potere determinati dall’arresto di elementi di vertici avvenuti nel periodo dell’attività. Le fasi della riorganizzazione trovano perfetta aderenza con l’ordinamento della ‘ndrangheta già emerso nell’indagine Crimine, nella cui sentenza viene riportata la definizione di “locale” e “doti”, nonché l’esistenza anche del cosiddetto “banco nuovo”, termine con il quale i vertici dell’ndrangheta intendevano la riorganizzazione delle cariche all’interno del locale. Il dato in questione viene attualmente riscontrato in questa indagine e più nello specifico quando l’arrestato Demetrio Palumbo intendeva operare tale riorganizzazione in seno al locale di Arangea coinvolgendo Sebastiano Praticò, già condannato in via definitiva proprio nel processo “Crimine”, ove lo stesso veniva riconosciuto partecipe della cosca operante nella zona sud di Reggio Calabria e ricopriva una carica di livello provinciale quale rappresentante del mandamento di Reggio Calabria. L’attività ha poi registrato il perseverare delle condotte da parte di indagati, già condannati in via definitiva per il reato di associazione mafiosa, dopo una lunga militanza in seno alla cosca, in quella cosca abbia fatto carriera e, forte del carisma criminale, scalando la scala delle doti più elevate, abbia conquistato i vertici della compagine mafiosa e un rispetto da parte dei sodali e delle altre organizzazioni criminali che gli ha consentito di continuare ad operare, con ruolo apicale, nell’interesse del sodalizio.
Altri sodali, seppur con ruolo subordinato, manifestavano una perseveranza partecipativa di pericolosa dedizione che si ricava dal ripetersi di condotte delittuose e dai riferimenti alla convita adesione alle regole di ndrangheta nonché alla necessità di controllo del territorio che si concretizza nell’esecuzione di vari episodi estorsivi finalizzati a garantire alla cosca il comando dell’area di competenza. La compagine criminale, che disponeva anche di armi illegalmente detenute, attraverso il modus operanti caratteristico delle associazioni di tipo mafioso poneva in essere un controllo sistematico delle attività commerciale e dei cantieri edili con l’obiettivo di trarre ingiusti profitti per gli associati. Le vicende registrate offrono uno spaccato della realtà reggina ove gli imprenditori sono perfettamente a conoscenza del fatto che, ancor prima di intraprendere un lavoro, devono darne preventiva comunicazione a quei personaggi che sono stati demandati dall’associazione a raccogliere le richieste e veicolarle a chi ha potere decisionale e può concedere l’autorizzazione, in cambio di dazioni di denaro, assunzione di manodopera e imposizione di forniture. Ancora sotto il profilo del condizionamento delle attività economiche sono emersi tentativi infiltrazioni nel settore della grande distribuzione con l’intento di imporre assunzioni. Le investigazioni hanno inoltre messo in luce i progetti imprenditoriali dell’associazione nel settore agrumario, in particolar modo in quello dei bergamotti dove erano attive due società, intestate a prestanomi ma riconducibili ad un associato, che espandevano i loro interessi commerciali utilizzando in taluni casi quei metodi che sono peculiari delle articolazioni di ndrangheta. Le due società sono state sottoposte a sequestro preventivo. Contestualmente ai provvedimenti restrittivi personali, il GIP ha disposto il sequestro preventivo di 3 società, tutte con sede a Reggio Calabria, due delle quali fittiziamente intestate a terzi, ma di fatto nella piena disponibilità degli indagati.