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sabato, 26 Aprile, 2025
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“Ruby ter”, il libro di Karima: la famiglia riunita a Badolato, le violenze del padre e la prima sera ad Arcore

«Non sono una prostituta». Comincia così Karima, il libro presentato giovedì a Milano da Karima El Mahroug, scritto con la giornalista Raffaella Cosentino. Un’affermazione ribadita e spiegata meglio poche righe dopo: «Ho fatto la ragazza immagine, la cubista, la panettiera e la venditrice ambulante – a partire dai miei 9 anni – la bagnina – senza saper nuotare -, l’estetista – senza aver alcuna qualifica – ho frequentato la casa del presidente Berlusconi, ho dormito molte notti su una panchina, sono scappata da 18 comunità. Ho camminato pericolosamente sull’orlo di un burrone, avrei potuto cadere e non sono caduta. Avrei potuto fare la prostituta, ma non l’ho fatto».

L’infanzia e il padre violento: «Mi mise la testa nel water»
Nei primi capitoli del libro, Karima El Mahroug parla a lungo della sua infanzia trascorsa inizialmente a Fquih Ben Salah, paesino del Marocco in cui è nata il primo novembre del ’92. Poi il trasferimento a Béni Mellal («praticamente in mezzo al nulla») e infine l’approdo in Italia, dove il padre si era trasferito negli anni ’70 per lavorare in una fabbrica del nord. La famiglia si ricongiunge in Calabria (a Badolato Superiore, in provincia di Catanzaro) il 14 marzo 2001, quando Ruby ha 9 anni. E anche se il nostro Paese non è come l’aveva immaginato («secondo la mia percezione l’Italia era un posto magnifico, con case bianche e finestre turchesi»), Karima è felice, anche perché finalmente può vivere finalmente con il padre. Che però, un po’ alla volta, si trasforma in un uomo sempre più violento: «Le botte – si legge nel libro – erano la soluzione per ogni cosa; non erano un gesto d’ira, uno schiaffo perché perdi la pazienza. Erano un disegno, un crescendo, non si esaurivano, finché non era qualcuno ad intervenire». Particolarmente doloroso uno degli episodi raccontati da Karima: «Mi prese tirandomi per i capelli e infilò la mia testa nel water, affondando il mio viso sui miei bisogni e tirando poi lo sciacquone. L’umiliazione fu profonda».

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Le fughe da casa e dalle comunità
La prima parte del libro è un lungo racconto delle violenze in casa, della fuga a 13 anni, dell’arrivo nelle comunità, delle fughe perché «tutte le volte che qualcuno mi dimostrava qualcosa che somigliasse ad una famiglia, una forza più grande, un blob nero dentro di me mi diceva che non me lo meritavo» e per raccontare che mai ha ceduto ed è stata una prostituta. E questo anche se «continuo a pensare – scrive Karima El Mahroug nel suo libro – che, in molti uomini, si attivi una sorta di lascia passare implicito di fronte ad una donna che ritengono per mille e più ragioni possibile, perché magari in uno stato di bisogno, perché sta cercando un lavoro, perché è solo una che fa le pulizie. Così, per dimostrare il loro stupido, insignificante pseudo- potere».

L’incontro con Emilio Fede e Lele Mora
Il libro, scritto in prima persona, racconta poi dell’istituto psichiatrico, del nascondiglio trovato in un loculo al cimitero, dell’incontro – a 14 anni non ancora compiuti – con Emilio Fede a un concorso di bellezza. Karima dimostra più della sua età: quando, 17enne, dice a Lele Mora di avere vent’anni, lui risponde «ne dimostri qualcuno di più». Questo suo arrivare, senza appuntamento, da Mora è l’inizio dell’avventura milanese che poi approda in tribunale. «Leggere le deposizioni di alcune persone che mi sono state accanto – ci tiene a dire – non è stato facile: non le riconosco, mi risuonano stonate» .

La prima serata ad Arcore
Nel libro Karima, oggi 30enne, racconta la prima serata passata a cena nella villa di Silvio Berlusconi ad Arcore. «Il Presidente mi offrì il posto accanto a lui e gli occhi addosso delle altre ragazze un po’ mi mettevano in imbarazzo. Iniziò la cena e mi fu chiesto di presentarmi: avevo la risposta già collaudata, “Mi chiamo Ruby Hayek, sono metà egiziana e metà brasiliana, ho 24 anni. Mia madre è una cantante molto famosa in Egitto”». Tutte bugie, naturalmente.

Il dialogo con Berlusconi e la busta con 2mila euro
La cena viene descritta come intervallata da barzellette, canzoni cantate dal padrone di casa, vociare. «Io continuavo a sentirmi fuori luogo. Al momento del dolce, mi rivolsi al Presidente: “Scusa, ti posso parlare un momento?”. Il gelo intorno. Fu molto educato e cortese, ci alzammo». Karima racconta poi uno scambio di battute in privato. Lei avrebbe detto a Berlusconi: “Io non sapevo che si trattasse di una cena, pensavo di andare a ballare in discoteca e, noi ci cambiamo lì di solito: non mi sento vestita elegante. Non so di che parlare, mi sento un po’ a disagio e poi è San Valentino e vorrei fare una sorpresa al mio fidanzato”. E lui: “Che lavoro fa il tuo fidanzato?”. “Ha un’agenzia di ragazze immagine”. “E tu sei innamorata?”.”Sì”. “Va bene vai pure, ci vedremo una prossima volta”». «Mi chiese il numero di telefono, mi chiamò un taxi e mi diede una busta – conclude -. La prima serata ad Arcore finì così. In macchina aprii la busta con quattro biglietti da cinquecento euro. Ero al settimo cielo, potevo mandare dei soldi a mia madre e stare tranquilla per un po’».

La danza del ventre con il vestito di Gheddafi
Parlando delle serate ad Arcore che aveva iniziato a frequentare «con una certa regolarità» perché «riuscivo a mandare dei soldi a mia madre, a mantenermi e a prendermi cura di me», Karima racconta: «Io mi sono esibita ballando la danza del ventre più di una volta, indossando un vestito regalato al Presidente da Gheddafi. Ballare con un vestito così prezioso mi inorgogliva, mi faceva sentire importante. Speciale». «C’erano esibizioni, balletti sexy, travestimenti, spogliarelli – prosegue -. Alcune volte sono rimasta ospite per la notte».

La colazione con i racconti del Cavaliere
«Era molto piacevole rimanere – prosegue il racconto -, perché, al mattino, il momento della colazione era il più interessante. Lontano dagli schiamazzi, il Presidente raccontava la sua vita, discuteva di temi a me molto lontani, ne ero affascinata. Era un mondo così importante il suo e mi sembrava incredibile poterne in qualche modo, anche lontanamente, farne parte. Mi sentivo trattare con dignità, direi come un’interlocutrice degna. I racconti degli inizi della sua professione erano i più interessanti perché aprivano in me finestre di riflessione, mi davano un senso di possibilità. Sono stata sempre trattata con molto garbo e, credo, con affetto sincero». «Quello che non sopportavo era il clima di avidità che si respirava e non mi sapevo spiegare, e rimane per me un mistero anche adesso, come facesse lui a fidarsi di tutte quelle persone o a volerle solo intorno – conclude -. Comprendo perfettamente che questa osservazione possa, a ben vedere, valere anche per me, ma io mi sono sempre sentita diversa».

La vicenda giudiziaria
Karima nella sua biografia in cui racconta come cambiò la sua vita dopo l’inizio della vicenda giudiziaria: «Ero ufficialmente parte lesa, ma di fatto un giudizio su di me era stato già emesso: una prostituta minorenne. Si dibatté, molto a lungo, se fosse nota o meno la mia reale età. La prostituzione era data per scontata, un dato di fatto. Del resto, cos’altro avrei potuto fare: una così, che balla così, che vive così, che frequenta quei posti lì». «In effetti alla fine il tribunale così ha deciso: il Presidente non conosceva la reale età… della prostituta minorenne. Amen. Dopo lo scoppio dello scandalo che fece tremare i palazzi, anche la mia vita andò abbastanza in frantumi – prosegue -, analizzando e guardandomi da così lontano, mi vedo in balia degli eventi, della mia inconsapevolezza, di un finto amore. Mi rimprovero di essermi affidata a persone sbagliate, di aver messo in scena azioni che non rifarei».

Le telecamere
«Le telecamere, i giornalisti, le persone per strada: tutti volevano vedere la prostituta del Presidente, nessuno che abbia visto una ragazzina di 17 anni, inseguita, usata, fotografata, braccata in ogni momento – conclude-. Le trasmissioni televisive, durante quei mesi, non facevano che parlare del Rubygate, io ero un piccolo anello narrativo necessario ad un racconto che non parlava di me. Ero sotto gli occhi dei riflettori, ma mai a fuoco. Una bambola».
(Fonte: corriere.it)

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