L’ageismo, inglesismo derivato da “ageism”, in italiano “etaismo”, termine coniato dallo psichiatra e geriatra Robert Butler nel 1969, è una delle forme più comuni di discriminazione. A sottolinearlo con disappunto, Sebastiano Guzzi, Vice Presidente Nazionale Unilavoro Pmi, il quale “questo atteggiamento selettivo e discriminatorio, che si contraddistingue per le sue prerogative intransigenti e pregiudizievoli, è eticamente scorretto. E’ una condotta comune che trova la sua dimensione in un problema fortemente radicato, che ha una sua storicità, e che racchiude, nonostante i progressi, pregiudizi, stereotipi e discriminazioni privi di logica”. Un problema imponente di cui non sempre si riconosce la sua criticità. Un documento di qualche anno fa, della Sanford Graduate School, ha mostrato infatti che la discriminazione in base all’età, è l’unica criticità perdonabile. A sollevare la questione, Ashley Martin, Docente di Comportamento Organizzativo alla Stanford Graduate School of Business.
La sua ricerca, che fornisce approfondimenti sul primato di genere nella cognizione sociale, mostra che coloro che sostengono e difendono l’uguaglianza, sono proprio quelli che hanno maggiori probabilità di essere prevenuti nei confronti delle persone più anziane. A differenza di etnia e genere, continua Martin, si crede che chi ha un’età anagrafica maggiore abbia già avuto i suoi successi e le sue opportunità, e che quindi, l’ordine naturale delle cose suggerisca che debbano farsi da parte e fare spazio ai giovani. Questo presupposto giustifica dunque, in qualche modo, la naturalezza nell’escludere gli anziani dalla forza lavoro. Per Martin l’ideale sarebbe quella di essere coscienti dell’esistenza di certi stereotipi e cercare di contrastarli prima che emergano. I candidati più anziani potrebbero, per esempio, secondo lei, enfatizzare le loro competenze tecnologiche per contrastare possibili preconcetti in questa direzione. Vero anche questo, ma lo scenario, evidenzia Guzzi, ha tratti ancor più significativi e allarmanti.
L’ageismo, secondo l’imprenditore lametino, non si limita a discriminare soltanto gli adulti. Dai diversi studi effettuati, come quello realizzato da Women of Influence, “Exploring the Impact of Ageism on Women in the Workplace” emerge che l’ageismo non colpisce in egual misura donne e uomini intersecandosi con fenomeni radicati come gli stereotipi di genere. La lettura dei dati rileva un’evidenza inconfutabile: “A parità di genere, le donne risultano più svantaggiate e l’ageismo diventa quindi “ageismo di genere”. L’80% delle donne che hanno partecipato al suddetto studio, ha dichiarato di aver subito discriminazioni legate all’età. Conoscere i dati anagrafici, conclude Guzzi, è quasi sempre il primo requisito, che consente di continuare un colloquio lavorativo. Una forma di selezione subdola, strisciante e silenziosa, che stigmatizza senza pietà. Un ostracismo intollerabile.