Le misure restrittive in termini di spostamenti e distanziamento sociale che l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha imposto, hanno avuto un impatto significativo. Molte attività commerciali, per sopravvivere, hanno colto e valutato tutte le soluzioni. Adattarsi alle nuove esigenze, è stata l’unica alternativa possibile. Tra tante attività, quelle della ristorazione, costrette, ad adeguarsi, con risultati eclatanti, ad nuovo e particolare paradigma produttivo: il Food delivery. Era il 2020. A ricordarlo, è Sebastiano Guzzi, Vice Presidente Nazionale Unilavoro Pmi.
“Nel marzo 2020 – ricorda l’imprenditore lametino- l’OMS dichiarò l’epidemia di COVID-19 pandemia. Il virus si era ormai diffuso in tutto il mondo e aveva raggiunto un’espansione e una gravità tale da costringere i governi dei vari paesi ad adottare delle misure restrittive al fine di arrestare, o quanto meno limitare, i contagi. A un certo punto un DPCM dispose la chiusura di tutte le attività ristorative. Questa soluzione drastica, non solo creò grandi disagi ed estreme conseguenze economiche ai ristoratori, ma sorti effetti negativi anche tra la gente. L’idea di dover rinunciare ad andare a mangiare fuori, fu accolta con estremo rammarico e con particolare disappunto. In questo contesto di malessere e di disagio, le attività di ristorazione, per non affogare, iniziarono ad organizzarsi mettendo in atto forme alternative di servizio: chi decise di avviare il delivery, chi potenziò la wine community online, chi optò per altre soluzioni. L’asporto fu l’unica alternativa capace di funzionare, perché rispose alle esigenze dei ristoratori, che continuarono a lavorare, ed a quelle dei clienti che ebbero la possibilità di usufruire di un servizio comodo”.
“L’evoluzione del delivery – evidenzia Guzzi – ha fornito aiuti concreti alle attività di ristorazione, garantito un servizio utile alla gente, e creato occupazione. La consegna del cibo pronto a domicilio ha assunto significati nuovi rispetto alla mera necessità e utilità. Una ricerca condotta dai ricercatori della scuola di Business & Marketing dell’Università Complutenze di Madrid2 ha dimostrato infatti che per i nuovi consumatori del Food Delivery il concetto del ready to eat, (pronto da mangiare), ha assunto un significato più ampio, quello del ready to enjoy, (pronto da gustare). Questa nuova abitudine alimentare apre quindi nuovi scenari di consumo e pone all’attenzione questioni importanti che riguardano la sicurezza alimentare e ambientale. Mentre nei prodotti venduti al dettaglio, o nei piatti pronti dei supermercati e mercati è presente la lista degli ingredienti, queste informazioni mancano completamente nei prodotti pronti venduti online. Un altro degli sfortunati inconvenienti, potrebbe essere l’utilizzo della plastica monouso come imballaggio alimentare per le pietanze. Di questo e di tanto altro -conclude Guzzi – parleremo dunque nel prossimo articolo”.