L’Italia riparte. Slitta il coprifuoco, riaprono bar e ristoranti, dove è possibile consumare anche al chiuso, ripartono con entusiasmo piscine e palestre, riaprono gli impianti di risalita in montagna e i centri commerciali nei fine settimana, e, finalmente, via libera anche per i ricevimenti, gli eventi e i matrimoni.
In questa ripartenza, carica di speranza, che prospetta un nuovo inizio, e un importante rinnovamento dal punto di vista economico e sociale, fa da sfondo una nuova problematica che non accenna a placarsi. Non più la precarietà e la flessibilità del lavoro, ma una questione che sa dell’incredibile: le difficoltà degli imprenditori a trovare personale da assumere.
Sembra un paradosso, eppure, sottolinea Sebastiano Guzzi, Vice Presidente Nazionale Unilavoro Pmi, in un sistema economico come quello italiano, in cui la disoccupazione domina in modo dilagante, ci sono aziende e imprenditori in serie difficoltà. Fanno fatica a reperire figure professionali da inserire nelle loro attività, soprattutto in quelle stagionali. Gli imprenditori intervistati addebitano la colpa alla “poltronaggine” legata al reddito di cittadinanza e ai ristori per gli stagionali stanziati dal governo.
Una convinzione comune questa, che nasce dalla difficoltà di trovare altre motivazioni valide e plausibili che giustifichino questa situazione incresciosa e per certi versi inspiegabile.
In realtà, precisa Guzzi, l’elevata precarizzazione del lavoro presenta una moltitudine di problemi, che non forniscono garanzie ai lavoratori, e che rendono difficoltoso il reclutamento di personale da parte delle aziende.
Giovanni Cafagna, presidente dell’Associazione Nazionale Lavoratori Stagionali (ANLS), il primo sindacato nazionale che difende i diritti di questa categoria, qualche settimana fa raccontava a Today come la narrazione preponderante sui media fosse sgradevole e sbagliata.
“I lavoratori stagionali sono sfruttati al di là di ogni limite, non hanno nessuna rappresentanza”, diceva il sindacalista, eppure oggi vengono anche strumentalizzati “per fare polemica contro il reddito di cittadinanza. Si è superato il limite. In tv ho sentito un ristoratore lamentarsi di non riuscire ad assumere e offriva un contratto di 900 euro al mese. Ma lo stipendio base di un cameriere in base agli accordi di categoria dovrebbe essere di 1.400 euro”. A volte poi lo stagionale che abita nei territori a vocazione turistica inoltre “non ha la percezione di essere sfruttato: la prospettiva di lavorare per 1.200 euro al mese viene considerata un lusso” concludeva Cafagna.
“Se li pagano 300 euro come è stato raccontato, è possibile. Credo che non corrisponda del tutto al vero questa narrazione, si tratta di evitare che il reddito di cittadinanza diventi in qualche modo un ostacolo e su questo stiamo lavorando però bisogna anche guardare al fatto che un ostacolo significativo possono essere le retribuzioni eccessivamente basse o il mancato rispetto delle norme contrattuali” ha detto il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, a proposito dell’allarme lanciato dagli operatori del turismo che non trovano lavoratori stagionali”.
Noi, sottolinea Guzzi, abbiamo a che fare quotidianamente con le imprese, con gli imprenditori e con i lavoratori per cui conosciamo perfettamente le prospettive, le esigenze, le difficoltà e le aspettative di tutti. Attori che sono coinvolti a 360 gradi nel sistema socio-economico. Conosciamo soprattutto, e perfettamente la nostra terra, le sue difficoltà, i suoi limiti e soprattutto le aporie di cui soffre il suo tessuto economico. Per dare voce ad una regione, che deve parte della sua economia al turismo, ci siamo addentrati in questa tematica che sta dilagando sui principali mezzi di comunicazione. Abbiamo incontrato e intervistato tantissimi imprenditori, molti dei quali titolari di bar, ristoranti e settori afferenti.
Sono tutti profondamente delusi e scoraggiati, e quasi tutti concordi nella tesi della “poltronaggine”, che riconduce, il tutto, al reddito di cittadinanza.
Noi, conclude Guzzi, non crediamo che questa sia l’unica causa. Il reddito di cittadinanza ha sicuramente adagiato lavoratori fragili, persone meno dinamiche e laboriose, gli oziosi di turno, ma ha anche garantito sostegno alle persone in serie difficoltà, mettendo in atto misure fondamentali di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale.
Non credo assolutamente, aggiunge con fermezza, che abbia sottratto ad altri, la voglia di fare e di lavorare.
Lo dimostrano le testimonianze di alcuni giovani intervistati, da sempre impegnati in lavori stagionali, e non solo. Un video-reportage di Repubblica riporta le parole di due giovani lavoratori, i quali denunciano il sistema di sopraffazione ai quali sono costretti, affermando quanto segue “A contratto sono 6 ore di lavoro al giorno, ma poi sei costretto a lavorare anche il doppio, senza un solo giorno libero, e con tre turni giornalieri”.
Questo potrebbe essere dunque, conclude Guzzi, uno dei motivi per cui i lavoratori decidono, con determinazione, di rifiutare ogni offerta di lavoro che non sia in grado di garantire loro i diritti fondamentali, che concernono appunto la retribuzione, l’orario di lavoro, il riposo settimanale e altre importantissime condizioni. Argomentazioni queste, conclude Guzzi, che meritano particolare attenzione e che noi, come associazione datoriale, intendiamo affrontare con riguardo e cautela.
Il nostro presupposto, è quello di dare voce ai lavoratori, ma anche, e soprattutto, a tutte quelle imprese, che sono tantissime e che lavorano con grande professionalità e senso del dovere, nel rispetto degli obblighi principali.