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domenica, 24 Novembre, 2024
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Vibo Valentia, caso di malasanità al pronto soccorso: Mio padre morto tra indifferenza e negligenza

Riceviamo e pubblichiamo:
“Ho l’urgente necessità di condividere l’ennesima atroce storia di negligenza medica che il 14 Settembre 2023 ha coinvolto mio padre Giuliano Giuseppe presso il Pronto Soccorso di Vibo Valentia. Un episodio di una gravità inaudita che conferma l’andazzo a Vibo Valentia quasi come se morire in Pronto Soccorso sia una normalità. La vita del mio amato papà è stata tragicamente fatta cessare a causa di un terribile caso di malasanità, uno dei tanti che affliggono questa amara provincia. Molte persone soffrono ingiustamente in silenzio, rassegnati, ma ora è il momento di gridare “basta”. È vitale che tutti siano a conoscenza della tragedia che si è celata dietro le porte di quest’ospedale. Mi sento in dovere di raccontarla, poiché non possiamo accettare una morte così insensata, causata dall’indifferenza e dalla negligenza del personale sanitario. Non possiamo permettere che gli autori di queste negligenze rimangano impuniti facendo soffrire amaramente altre persone e le loro famiglie.

Lo facciamo in nome di mio padre, di noi stessi e di coloro che non hanno la forza di lottare, ma che soffrono in silenzio.
Vogliamo gettare una pietra nello stagno, affinché il nostro grido sia un segnale per sensibilizzare le coscienze e impedire che tali negligenze e sciatterie sanitarie continuino nell’indifferenza a danneggiare la salute dei cittadini.
Ora che abbiamo fatto partire le denunce alla Procura, accompagnate dal clamore mediatico, diverse persone che hanno subito episodi di malasanità (riportandomi situazioni al limite dell’umanità) mi hanno contattato e hanno fatto propria questa sete di giustizia (diverse vengono “avvicinate e scoraggiate” nello sporgere denuncia o avvisare la stampa, casi del genere capitano purtroppo ogni settimana).

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Tenuta delle Grazie 13_6_2024

Quello che sentiamo di portare avanti è principalmente per mio padre (instancabile lavoratore, persona per bene, ben voluto e amato da tutti), per i tanti che non hanno la forza o gli strumenti per reagire subendo con rassegnazione e frustrazione, perché tutto ciò non riaccada con questa sciatteria e menefreghismo sanitario.
Abbiamo deciso di investire qui, nella nostra terra, di migliorarci, di creare indotto e spenderci amorevolmente e con tanta passione ogni giorno per il nostro territorio ma i servizi minimi devono essere garantiti. Non è possibile che una persona che arriva in pronto soccorso in auto, viene lasciato parcheggiato per ore a morire (l’ambulanza ci avevano comunicato due ore e mezza di attesa, ma purtroppo nella zona è diventata una prassi)”.
Fabrizio Giuliano

Ecco la ricostruzione dei fatti secondo la famiglia Giuliano.
Sintomi prima di essere portato in ospedale:
“La mattina di Giovedì 14 Settembre 2023 il paziente si è svegliato con brividi di freddo e presentava una temperatura corporea di circa 38°C. La pressione oscillava circa 80 e 90 la massima, mentre la minima tra 45 e 60 circa.
Verso le ore 11 e mezza la frequenza cardiaca oscillava tra 90, stabilizzata a 75/76.
Il paziente si alzava dal proprio letto con una gamba gonfia, e con un dolore abnorme alla stessa.
La gamba sinistra era molto gonfia, compresa la coscia che presentava puntini rossi,
Il paziente lamentava molto dolore localizzato soprattutto al polpaccio sinistro.
Avvertiva moltissima stanchezza, spossatezza, e a tratti momenti di stato confusionario.
Si procedeva a chiamare l’ambulanza circa le ore 14:00. Il 118 rispondeva comunicando che c’era un’attesa di tre ore circa, in quanto occupati con altri casi. Lo stesso operatore consigliava se era qualcosa di urgente di accompagnarlo in macchina.
Si è proceduto così, ad accompagnare il paziente al Pronto Soccorso di Vibo Valentia. Si specifica che il paziente dal proprio letto è salito in macchina con le proprie gambe (facendo anche le scale).
Si è giunti al Pronto Soccorso alle ore 15:00 circa.
Appena arrivati, non si notava affollamento, tant’è che il paziente è stato preso subito in carico.
Gli operatori hanno effettuato il tampone. Dopodiché il paziente è stato accomodato su una lettiga e spostato in una saletta del Pronto Soccorso. Alla moglie non è stato consentito di accompagnare il marito all’interno per i protocolli CoVid (che non sono più in vigore)
La moglie insisteva a chiedere informazioni sulle condizioni del marito, allorché il medico presente rispondeva testuali parole:
“Signora se non abbiamo tutti gli esami, non possiamo fare la diagnosi”
Ancora molto preoccupata, la moglie, ha chiesto ad un’operatrice del personale sanitario (la stessa che ha effettuato il tampone all’accettazione) se poteva andare a chiedere informazioni riguardo lo state di salute del marito e se avessero eseguito la TAC e se gli esami di laboratorio fossero pronti.
L’operatrice si reca all’interno, e al ritorno, comunica alla Signora “Suo marito deve fare la TAC, mentre per quanto riguarda gli esami non sapeva rispondere in quanto il medico stava scrivendo” – erano circa le ore 17:15
Non avendo notizie alle ore 17:36, il figlio Tonycristian Giuliano gli telefona, ed il paziente risponde alla telefonata.
Rispondendo il paziente, lamentava brividi di freddo, allorché il figlio Tony chiama la madre, portandola a conoscenza delle lamentele del padre, invitandola a chiamarlo immediatamente.
Alle ore 17:37 la moglie chiama il paziente al telefono, il quale risponde replicando di avvertire freddo e la moglie lo invita a chiedere una coperta al personale del Pronto Soccorso.
Dopo una decina di minuti, la moglie ha appreso da una ragazza che si trovava all’interno del Pronto Soccorso per accompagnare lo zio, che la coperta era presente, e che la stessa ragazza l’ha sistemata per coprirgli anche i piedi.
Dopodichè il paziente non ha più risposto alle chiamate sia della moglie che dei figli, più precisamente alle chiamate successive le ore 18:00 circa (come si può evincere dai tabulati telefonici).
In questo frangente temporale nessun operatore del personale sanitario è uscito per comunicare lo stato del paziente e nemmeno per chiedere informazioni sulla situazione clinica passata del paziente stesso.
Verso le ore 19:15 una dottoressa insieme ad un’altra operatrice sanitaria usciva dal Pronto Soccorso comunicando al figlio Stefano Giuliano testuali parole “è morto”, senza dare alcuna spiegazione o motivazione riguardo le cause della morte e rientrando immediatamente all’interno del Pronto Soccorso.
Allorchè il figlio Stefano Giuliano chiede di poter vedere il padre, e le Guardie del Pronto Soccorso gli dicono che deve aspettare prima di entrare, facendo barriera all’entrata.
Solo successivamente è stato permesso al figlio e alla moglie di entrare.
Quando la moglie è entrata nella stanzetta dov’era presente il marito ormai deceduto, ha chiesto spiegazioni al medico presente, il quale ha risposto “Signora lei sa che suo marito aveva dei problemi”, chiedendo nuovamente di che cosa è morto, il medico replicava “Signora chiedete a Milano” (questo perché il marito aveva subito un intervento chirurgico all’Ospedale Niguarda di Milano).
La moglie ha notato che il marito non aveva alcuna flebo nè alcun altro macchinario per il monitoraggio dei parametri vitali (ad esempio per monitorare il battito cardiaco, la saturazione, ecc..)
Vista la gravità della situazione alle ore 19:50 la moglie chiamava il numero di emergenza 112.
Dopo circa mezz’ora, si presentano i carabinieri presso il Pronto Soccorso, i quali hanno fatto accesso al Pronto Soccorso e chiudendosi con il medico Paolo Leombroni in un ufficio.
Successivamente quasi tutta la famiglia disperata si riuniva fuori con i tanti amici e conoscenti accorsi.
Allorquando il Brigadiere dei Carabinieri, comunica al figlio Fabrizio Giuliano davanti una platea di persone: “Allora Signor Giuliano abbiamo visto dalle telecamere che lei e gli altri suoi fratelli avete fatto delle foto all’interno della stanza dove è posizionato la lettiga con il corpo di suo padre”.
Successivamente lo stesso Brigadiere intimava ai figli di eliminare le fotografie effettuate.
Una nota particolare: dopo che è stato comunicato il decesso, dopo le ore 21:30 i pazienti venivano invitati ad uscire dalla stanza perché il personale medico sanitario doveva effettuare l’ECG. Inoltre una guardia all’arrivo prendeva sottobraccio il figlio Fabrizio Giuliano dicendogli “c’è stata pure la TAC rotta”.
Dopo le 23:00 circa veniva comunicato che la salma sarebbe stata spostata all’obitorio”.

Lettera aperta al Presidente della Regione, nonchè Commissario alla sanità calabrese:
“Illustre Roberto Occhiuto, la tragedia della sanità in Calabria (con Vibo Valentia a portare la bandiera) continua ad essere un’oscura e incivile pagina della storia della nostra Regione. Al pari delle altre regioni d’Italia, il diritto ad essere curati dovrebbe essere garantito, purtroppo tutto ciò a Vibo Valentia non è scontato. Ci troviamo di fronte ad una realtà in cui la vita umana sembra essere spesso ignorata. È un sistema marcio, corrotto dall’indifferenza, dall’inerzia e dal malaffare, dove il valore di una vita umana viene spesso sacrificato sull’altare della negligenza, del menefreghismo e della completa “sciatteria sanitaria”. Si proprio così, “sciatteria sanitaria” perché ogni qual volta si ha bisogno di curarsi si ha l’impressione di percepire un mix di adrenalina e ansia al pari di una puntata alla roulette russa. In Calabria, la morte sembra essere diventata una statistica, un numero tra i tanti. Le persone soffrono e muoiono senza ricevere le cure di cui hanno bisogno, mentre chi dovrebbe proteggerle e curarle sembra voltare lo sguardo altrove. Il dolore delle famiglie, costrette a vedere i propri cari andarsene prematuramente, è amplificato dall’impotenza di fronte a un sistema che non funziona, un sistema appunto marcio da dentro. È un appello alla coscienza di tutti noi, ma soprattutto alla vostra, che siete i nostri rappresentanti, affinché si metta fine a questa indifferenza verso la sofferenza umana. Oggi a morire inerme per mano di un’equipe di lestofanti e negligenti è stato il mio caro papà, ma Le prometto che non ci arrenderemo di fronte a niente e nessuno pur di arrivare a far chiarezza sulle responsabilità di ognuno. Ogni vita conta, e nessuno dovrebbe morire “come se niente fosse” a causa di mercenari sanitari perché i medici, quelli animati da “vocazione alla missione”, sono ben altro”.
Famiglia Giuliano

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