Sono partite da un episodio estorsivo ai danni di un imprenditore di Cutro le indagini dei carabinieri che stamani hanno portato all’esecuzione di 31 misure cautelari emesse dal gip su richiesta della Dda di Catanzaro – 15 in carcere, 7 ai domiciliari e 9 all’obbligo di dimora – nei confronti di presunti affiliati a cosche del crotonese. Le indagini, condotte dalla Sezione operativa del Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Crotone, si sono ben presto allargate oltre l’episodio fotografando le dinamiche del locale di ‘Ndrangheta di Cutro dopo l’arresto del boss egemone Nicolino Grande Aracri, e il suo successivo tentativo di collaborazione, poi venuto meno per acclarata inattendibilità. È emersa così la presenza della famiglia Martino, già collegata a Grande Aracri, al cui vertice, secondo l’accusa, c’è il capo detenuto Vito Martino, composta principalmente dalla moglie e dai due figli, attivi sul territorio di Cutro in contrapposizione ai Ciampà- Dragone, che ha cercato di affermarsi sempre più come famiglia di ‘ndrangheta autonoma. “Se si pente il capo scriviamo un altro libro”. Con queste parole la moglie del boss Vito Martino, Veneranda Verni, di 54 anni, ha accolto la notizia del pentimento (poi fallito) del capo cosca di Cutro Nicolino Grande Aracri.
L’episodio è stato raccontato dal procuratore facente funzioni delle Dda di Catanzaro Vincenzo Capomolla, nel corso della conferenza stampa dell’operazione Sahel condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Crotone. Le indagini, ha spiegato il comandante provinciale dei carabinieri di Crotone Raffaele Giovinazzo, sono state avviate nell’ottobre 2020 dai militari delle compagnia di Crotone, guidati dal maggiore Rossella Pozzebon, in seguito a un episodio estorsivo che ha svelato come fossero cambiati gli assetti all’interno delle cosche cutresi col diffondersi della notizia del tentativo di collaborazione del boss Nicolino Grande Aracri.
“La cosca si è rivitalizzata intorno alla figura di un esponente della consorteria che si trovava in carcere – ha affermato Capomolla – e che dal carcere ha continuato a dare ordini”. Il soggetto in questione è Vito Martino, di 54 anni, storico componente dell’omonimo clan da sempre alleato ai Grande Aracri. L’uomo ha veicolato messaggi fuori dal carcere attraverso la propria moglie, anche lei arrestata.
Nella fase in cui i Martino prendono potere “emerge il ruolo delle donne”, ha spiegato il colonnello Giovinazzo. L’indagata, infatti, “non riportava solo i messaggi del consorte ma dirimeva controversie e impartiva ordini. L’indagine – ha aggiunto – ha permesso di registrare le reazioni dei sodali alla notizia del pentimento di Grande Aracri: stupore, sgomento. Infine le strutture di comando e militari della cosca si sono mosse per colmare il vuoto e si sono strette intorno alla figura di Vito Martino”. E’ stata così riavviata l’attività criminale della consorteria tesa ad accumulare fondi per la bacinella comune attraverso estorsioni – in tutti i settori dell’attività economica del crotonese “dall’edilizia alla produzione di olio” – e al traffico di stupefacenti che, ha spiegato il maggiore Pezzebon, ha portato la cosca – “alla ricerca costante di fondi” – ad entrare in contatto col ramo criminale della comunità rom di Catanzaro. Sono stati registrati – ha detto il comandante del reparto operativo Angelo Maria Pisciotta – sette episodi estorsivi che contano sei estorsioni portate a termine attraverso dazioni di denaro da parte delle vittime. Un altro dato che si registra è “la mancanza di denunce da parte delle vittime, al massimo qualche confidenza strappata”. “La nascente cosca Martino godeva già di una forza intimidatrice intrinseca”, ha concluso Pisciotta.
L’inchiesta, condotta con intercettazioni telefoniche e ambientali oltre che su riscontri alle attività di osservazione e pedinamento, si è avvalsa anche del contributo dei collaboratori di giustizia Giuseppe Liperoti, Salvatore Muto, Angelo Salvatore Cortese, Antonio Valerio e Gaetano Aloe. Sono stati così raccolti gravi indizi di colpevolezza in ordine a reati commessi con le modalità tipiche dell’associazione mafiosa, ed in particolare all’esistenza di una “bacinella”, finanziata anche tramite lo spaccio e lo smercio, in forma associativa, d’ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, sulla direttrice Cutro – Cosenza – Catanzaro – e, soprattutto, nel capoluogo, per il sostegno economico di affiliati e famiglie dei detenuti. Dagli accertamenti svolti è emersa la capacità di controllo del territorio grazie alle intimidazioni, tradotta nell’estorsione ai danni di titolari di attività commerciali e usura. Gli indagati, inoltre, avevano la disponibilità di armi, documentata da due sequestri effettuati nel 2021 e nel 2022. Gli investigatori hanno anche scoperto il danneggiamento delle auto di componenti di spicco della famiglia Martino, avvenuto con l’avallo del boss Domenico Mico Megna, ritenuto “significativo” per interpretare i rapporti tra le varie cosche della provincia e l’evoluzione dei rapporti di forza tra le stesse.